martedì 3 settembre 2019

Colosseum: "Valentyne Suite" (1969)

Nel settembre di cinquant'anni fa venivano completate le incisioni di un capolavoro del primo progressive rock britannico: "Valentyne Suite" dei Colosseum (Band). Disco fondamentale per tracciare coordinate jazz rock ampiamente ricomprese nel contesto del nascente progressive, ne resta uno degli esempi migliori in assoluto.



(il disco completo, con due tracce bonus, si può ascoltare qui: https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_lkAEY8TjgBVfPpaHWESV8TlcOVloUhmxY)



Gli anni sessanta nel Regno Unito videro sorgere nell'arcipelago una nuova generazione di musicisti ispirati dal blues, dal rock'n'roll e dal jazz americano. Se negli Stati Uniti questi generi musicali rimasero separati abbastanza nettamente - con significative eccezioni - anche in virtù del marketing delle case discografiche, in Inghilterra la passione dei giovani entusiasti non segue regole e non comprende confini: dai giovani Mick Jagger e Keith Richards ai giovani Paul McCartney e John Lennon, passando per i giovani Pete Townshend ed Eric Clapton, tutti costoro ascoltano - e suonano - tutto ciò su cui possono mettere le mani, mescolando i generi e aggiungendo - se le hanno - le proprie sensibilità folk e skiffle.

Il movimento underground della musica britannica di quegli anni, di ispirazione black, è quindi assai variegato e vede bluesmen e jazzisti suonare fianco a fianco fra loro e con rockers e appassionati di ska giamaicano, generando quella fertilità che aprirà la strada prima al blues rock e alla psichedelia britannica ma poi al progressive e all'hard rock.

Fin dai primi anni, i musicisti che fonderanno i Colosseum si trovano al centro di questo tornado musicale: il sassofonista Dick Heckstall-Smith e il batterista Jon Hiseman suonano insieme prima nella New Jazz Orchestra (una big band jazz), poi nella Graham Bond Organisation (complesso che suona rhythm'n'blues e jazz) e infine nella band di John Mayall per l'album "Bare Wires". I due amici reclutano il chitarrista-cantante James Litherland (curiosità: padre del musicista James Blake), il bassista Tony Reeves e l'organista Dave Greenslade e pubblicano col nome di Colosseum il loro primo album, "Those who are about to die salute you" nel marzo del 1969.

Il jazz rock è ormai nell'aria: John McLaughlin e Tony Williams hanno già pubblicato i primi lavori del genere e Miles Davis ha inciso le sessioni di base di "Bitches Brew", sebbene ci dovrà lavorare ancora a lungo prima di pubblicarlo; e anche in America, Blood Sweat & Tears, Chicago e Laura Nyro hanno abbattuto le barriere di generi quali jazz, pop e rock con i loro primi lavori. Allo stesso tempo è nell'aria il rock sinfonico, i Procol Harum hanno introdotto Bach nel pop inglese, poi hanno inciso la prima composizione progressive che occupa una intera facciata, "In held twas in I", mentre i Pink Floyd hanno realizzato la suite "A saucerful of secrets" e Jon Lord sta preparando il suo "Concerto" per i Deep Purple e un'orchestra sinfonica. Ai Colosseum spetta così il compito di gettare un ponte fra tutte queste anime, realizzando uno dei dischi migliori della musica di fine anni Sessanta, ovvero questo "Valentyne Suite".

Il disco si apre con il primo capolavoro, "The Kettle", che mette in mostra le qualità da blues supersonico del gruppo: sul canto sgolato ed efficace del chitarrista James Litherland, la sezione ritmica tesse una delle partiture basso-batteria più riuscite della storia del progressive rock, sulla quale poi Litherland sfoga le proprie velleità con due assoli di chitarra sovraincisi. Il riff iniziale verrà famosamente campionato da Fatboy Slim per la sua "Ya Mama (Push the Tempo)".

"Elegy" è un altro piccolo capolavoro, un jazz pop che si dipana su un tempo in 4/4 guidato dalle spazzole di Hiseman e dall'arrangiamento in sottofondo di sax, organo e archi (diretti dal compositore jazz Neil Ardley). Litherland si mostra ancora una volta cantante dal timbro unusuale e dalla buona estensione vocale, sofferta e blues al punto giusto. Abbiamo anche un primo, delizioso assaggio delle qualità da solista del sassofonista Dick Heckstall-Smith.

Il blues fiatistico di "Butty's Blues" inizia con un solo dell'organo hammond saturo di Dave Greenslade, segue poi la voce di Litherland che si inerpica sempre più tesa e cruda lungo la canzone e si conclude con un intenso finale dominato dalla sezione fiati (anche qui diretta da Ardley).

Il lato A termina con un pezzo psichedelico, diremmo quasi alla Cream, e non solo per il testo fornito da Pete Brown, usuale autore delle liriche di Jack Bruce, ma anche per lo svolgimento sinuoso e bizzarro e per la coda proto-industrial del brano stesso.

Senza avere sprecato un minuto del proprio tempo, e dopo avere dimostrato le proprie capacità di realizzare un suono personale, unico e originale amalgama collettivo di cinque musicisti che sanno anche esibire muscoli nelle prove individuali, i Colosseum si cimentano sul lato B con la suite che da il titolo al disco e che cementa definitivamente la loro fama.

Dopo il tema iniziale suonato dal collettivo, il brano si fa meditativo prima con il fenomenale sax di Heckstall-Smith, poi con un meraviglioso assolo di organo di Greenslade, dalle molteplici ispirazioni classiche, che conduce a un ossessivo ed elettrizzante hard blues su tempo ostinato. Segue una stupenda partitura per organo e coro (che si pone nella scia di momenti fondanti delle suite progressive come "In held twas in I" dei Procol Harum e "A saucerful of secrets" dei Pink Floyd), sulla quale Heckstall-Smith esprime ancora una volta uno struggente solo di sax che si fa sempre più drammatico nel momento in cui Hiseman alza il tempo della canzone. A questo punto rientra il tema principale, il cui sviluppo collettivo finisce per condurre a una nuova sequenza di improvvisazioni, tra cui spiccano un melodico assolo di basso di Reeves e un assolo della chitarra di Litherland, che accelera in blues quando accende il wah-wah e ci porta fino alla conclusione, che riprende brevemente il tema della suite.

Difficile dire se sia meglio il lato A o il lato B, dipende se siete più fan di canzoni vere e proprie in chiave jazz blues rock oppure se siete più amanti delle grandi suite strumentali progressive.

Sebbene non riesca a toccare i pinnacoli di innovazione di "In the court of the crimson king" dei King Crimson, resta incalcolabile l'influenza di questo disco sulle band del rock progressivo britannico, in particolare quelle della Scuola di Canterbury: le suite di "Third" e "Fourth" dei Soft Machine devono tanto ai Colosseum quanto a Miles Davis, mentre i Caravan di "For Richard" e "Nine feet underground" sono fortemente ispirate da queste idee musicali.

"Valentyne Suite" resta nel tempo come la più grande affermazione artistica dei Colosseum e come uno dei più grandi album della prima era del progressive rock - e non solo.

- Prog Fox

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