martedì 27 agosto 2019

Rod Stewart: "An old raincoat won't ever let you down" (1969)

Nell'agosto di cinquant'anni fa venivano completate le registrazioni di "An old raincoat won't ever let you down", disco di esordio da solista per Rod Stewart, appena fuoriuscito dal gruppo di Jeff Beck e pronto a imbarcarsi nell'avventura dei Faces.
Un disco classico, diviso tra cover davvero di gran classe e blues rock dal volume grottesco, anche grazie alla sei corde dell'amico Ronnie Wood.

Il disco completo si può ascoltare qui --> https://tinyurl.com/yyjorxo6
Rod Stewart è da pochi mesi fuoriuscito dal Jeff Beck Group, che si è disintegrato a causa di litigi interni. Lui e l'amico Ronnie Wood, bassista del gruppo ma anche ottimo chitarrista, non rimangono a lungo con le mani in mano: da un lato si uniscono agli Small Faces (che hanno perso il loro leader Steve Marriott) per formare un nuovo gruppo chiamato semplicemente Faces. E dall'altro?

Beh, dall'altro preparano un altro disco a nome di Rod Stewart stesso. Il cantante scozzese è iperattivo e ai vertici della propria produttività e della propria carriera, e vuole farlo vedere.

Rod e Ron si portano dietro anche Micky Waller, pure lui prelevato dal gruppo di Jeff Beck, ottimo batterista che avrà davvero modo di esprimersi al meglio in questo disco; poi chiedono a Ian McLagan, nuovo superamico nei Faces, di dare una mano a piano e organo. A essi si aggiungono, alla bisogna, la chitarra elettrica di Martin Pugh e quella acustica di Martin Quittenton, membri di un altro gruppo blues inglese dell'epoca, gli Steamhammer.

È con questa squadra che Rod incide "An old raincoat won't ever let you down", disco dalla grafica inquietante, in cui Rod travestito da vecchiaccio in accappatoio gioca con una manciata di bambini in pigiama. Oggi non potrebbe mai fare una cosa del genere. E mi riferisco sia ai bambini in pigiama che alla copertina.

"An old raincoat" è un vero e proprio classico e uno dei migliori dischi della carriera di Rod. Come abbiamo detto, al centro del suono ci sono tre cose: uno, la voce pazzesca di Rod, che era molto più adatta a scorticare vivo l'ascoltatore con la sua ugola torturata e graffiante che a fare il piacione romantico; due, la chitarra graffiante e il basso sanguigno di Ronnie Wood; tre, la batteria di Micky Waller. Il suono base del disco è quindi blues rock che sa mescolare blues folk e hard blues in proporzioni pressoché perfette.

Questo avviene sia quando Rod si esibisce nei quattro brani inediti, sia quando si dedica alle quattro cover, ovvero "Street Fighting Man" dei Rolling Stones (ironico che Ron Wood si unirà a loro poco più di un lustro dopo, proprio al termine della sua collaborazione con Rod Stewart); il vecchio country blues tradizionale "Man of Constant Sorrow"; e il folk blues di "Dirty old town", del cantautore Ewan McColl.

L'unica concessione alla dolcezza è "Handbags and Gladrags", con il pianoforte di Mike d'Abo (che l'aveva composta per Chris Farlowe nel 1967) e gli arrangiamenti di oboe e flauti in primo piano.

I pezzi scritti da Rod sono tra i migliori della sua carriera: la graffiante, pensosa "Blind Prayer", forse la prova più riuscita di Rod alla voce nell'album e non solo; il country blues "An old raincoat won't ever let you down"; il soul blues "I wouldn't ever change a thing" (con KEITH EMERSON all'organo e Lou Reizner alla seconda voce) e l'hard blues ebbro di organo hammond "Cindy's prayer".

Insomma, a farla breve, ci troviamo davanti a uno dei migliori album di blues rock inglese dell'anno, il che, considerata la concorrenza dell'epoca, è un'impresa abbastanza eccezionale. Se conoscete il Rod dell'ultimo trentennio, ascoltare questo album da un lato scalda il cuore e dall'altro la nostalgia vi farà provare quasi un male fisico per quest'epoca. Siamo abbastanza certi faccia lo stesso effetto anche a Rod e Ron.

- Prog Fox

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