lunedì 26 agosto 2019

Byrds: "Ballad of Easy Rider" (1969)

Sono passati pochi giorni dalla morte di Peter Fonda, l'attore assurto a fama imperitura grazie al road movie hippie "Easy Rider". Casualmente, questo avviene pochi giorni prima del cinquantennale di "Ballad of Easy Rider", disco dei The Byrds ispirato proprio dalla loro collaborazione alla colonna sonora del film.
Il disco fu registrato tra il 17 giugno e il 26 agosto del 1969 e contiene un arrangiamento diverso della canzone omonima rispetto a quello che si ascolta nel film.

(il disco completo con ottomila tracce bonus --> https://tinyurl.com/y5fpa842)



Un giorno, Peter Fonda si presenta dal leader deiThe Byrds con un tovagliolino di un ristorante su cui sono scarabocchiati i versi: "The river flows, it flows to the sea/Wherever that river goes, that's where I want to be/Flow, river, flow".

Al perplesso McGuinn, Peter Fonda spiega che sta realizzando un film con Dennis Hopper, un road movie che vuole rappresentare un viaggio attraverso l'America e delle sue contraddizioni, fra controcultura hippie e maggioranza silenziosa borghese. "Easy Rider", si chiama. Ha chiesto a Bob Dylan di scrivere il tema della colonna sonora, ma Dylan si era rifiutato, limitandosi a dargli quei versi e a dirgli di darli a lui con le parole: "McGuinn saprà cosa farci".

E McGuinn infatti a partire da quei versi compone "Ballad of Easy Rider", una delle canzoni più belle della sua carriera, una canzone che recupera le chitarre dodici corde e lo spirito folk angelico dei primi dischi dei Byrds.

Dopo quattro album ispirati, i Byrds, tormentati da cambi di formazione continui, avevano perso lucidità; senza mai comporre dischi brutti, avevano però realizzato un paio di dischi interlocutori, "The Notorious Byrd Brothers" e "Dr Byrds and Mr Hyde", tra i quali avevano pubblicato "Sweetheart of the Rodeo", dominato dal cantautore country rock Gram Parsons, criticamente apprezzato ma molto sconcertante per gli amanti del folk rock psichedelico che avevano contribuito a creare.

"The Ballad of Easy Rider" è l'inizio del secondo flirt dei Byrds con la controcultura, che nel 1970 li porterà a incidere l'ultimo capolavoro della loro carriera, "(Untitled)". Qui però McGuinn e soci (in questo momento, essi sono il batterista Gene Parsons, il chitarrista Clarence White e il bassista John York) sono ancora in fase di aridità compositiva e solo 3 degli 11 pezzi del disco sono composizioni inedite - le altre sono tutte cover, e francamente nel 1969 questo non è più accettabile da una band come i Byrds, rappresentando un ritorno fin troppo spinto all'epoca dei loro esordi cinque anni prima.

E questo nonostante almeno un paio di esse siano notevoli: "Jack Tarr the Sailor", un pezzo folk britannico, ma soprattutto "It's all over, baby blue", forse la loro migliore interpretazione in assoluto di una canzone di Bob Dylan, trasformata, trasfigurata quasi in un dolorosissimo e intenso epos prog-psichedelico dominato da armonie vocali sensazionali. Notevole anche l'uso che fa White del b-bender della sua Fender Telecaster, inventato da lui e dal batterista Gene Parsons per aumentare di molto l'estensione del bending e simulare il suono di una pedal steel guitar su una chitarra elettrica.

Le tre composizioni inedite sono tutte e tre di ottimo livello - oltre alla già citata "Ballad of Easy Rider", il bassista John York compone la simpatica, scanzonata "Fido", dedicata al suo cane, mentre il batterista Gene Parsons compone un altro folk rock dalle armonie vocali perfette, "Gunga Din".

Complessivamente quindi il disco è un ritorno nostalgico alle atmosfere del 1965-1966 che non potrà che fare innamorare i fan dei primi anni del gruppo; ma si tratta per la maggior parte di un esercizio di stile, utile a uscire fuori dal pantano in cui si erano messi e a ricaricare le energie per un ultimo, grande sforzo creativo.

- Prog Fox

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