sabato 31 agosto 2019

Chevelle: "Sci-fi crimes" (2009)

31 agosto 2009, i Chevelle, band di alternative rock proveniente da Chicago che prende il nome da un modello della Chevrolet, pubblicano il loro quinto album da studio, "Sci-Fi Crimes".



Molto apprezzati e seguiti in Nord America, semisconosciuti e quasi mai considerati nel resto del mondo, il trio a gestione familiare capitanato dal leader, Pete Loeffler, cantante-chitarrista, coadiuvato dal fratello Sam alla batteria e dal cognato Dean Bernardini al basso (il quale qualche anno prima era andato a rimpiazzare l’altro fratello Joe, il quale aveva detto addio alla carriera musicale per dedicarsi alla vita familiare e professionale), si vede chiamato a consolidare la fama finora raggiunta.

Dopo l’acerbo esordio "Point #1", Loeffler & family riuscirono a strappare un contratto con la major Epic Records, dando alla luce gli acclamati (sempre all’interno del territorio statunitense e canadese, si intende) "Wonder What’s Next" e "This Type of Thinking (Could Do Us In)", entrambi lavori che irrompettero nella top ten di Billboard. Seguì "Vena Sera", lavoro positivo ma che non convinse pienamente come ci si poteva aspettare. Quando le vendite calano, le multinazionali non perdonano, e in campo musicale questa regola la si conosce bene.

Con questo "Sci-Fi Crimes" il gruppo torna a sfornare un buonissimo album, decisamente ispirato, e riesce di nuovo la sfondare la top ten di Billboard (fu anche il loro successo commerciale più prolifico, sfiorando quota 50'000 copie vendute la prima settimana). Spesso a torto e a ragione (più a torto direi) accostati ai Tool (per l’inflessione crossover e per quei riff iponitici) e ai Deftones (per le sonorità sognanti e la tensione drammatica che ne trasuda), il gruppo non si sposta dalle proprie coordinate stilistiche. Evoluzioni e cambiamenti stilistici non se ne segnalano, le modalità compositive del gruppo restano le medesime, brani strutturalmente semplici e lineari seguendo la “forma canzone” tradizionale, riff diretti, snare drum essenziale, un basso roboante che segue l’andamento ritmico delle sei corde, nemmeno l’ombra di un virtuosismo. E no, non hanno introdotto assoli nelle loro composizioni, se è questo che cercate avete sbagliato gruppo.

Quello che è il punto forte del gruppo, o meglio dire del mastermind Pete Loeffler, è la capacità di abbinare sonorità pesanti e riff superdistorti (se si può parlare di metal, lo si può fare per la pesantezza dei suoni di chitarra, non per l’attitudine o le influenze) a versi estremamente musicali e refrain di immediato impatto, mai banali o pacchiani, e molto coinvolgenti. I testi, originali e variegati, talvolta criptici e spesso eccentrici, sono un altro punto forte del gruppo dell’Illinois. La quasi totalità del merito ovviamente va affibiata al leader, cantante che adotta uno stile molto stravagante e intrigante, inconfondibile fin dalla prima sillaba pronunciata, dotato di una personalità parecchio ecclettica. Il resto del lavoro lo completa con la propria pedaliera, alla costante ricerca di distorsioni bizzarre esingolari, e di feed conturbanti.

"Mexican Sun", una delle grandi hit del disco, è il perfetto esempio dell’armonia fra distorsioni e melodia, dall’incedere accattivante, trainato dalla verve canora di Pete Loeffler. Anche quando i toni si fanno più tesi e convulsi, le composizioni mantengono sempre un forte piglio catchy, è il caso dell’ottima "Letters from a Thief" (ispirata a un fatto vissuto in prima persona dalla band, a causa di un ladro che rubò e rivendette la loro strumentazione) e "Jars" (dai pessimisti risvolti ambientalisti, in un futuro utopico), entrambi primi singoli estratti dall’album che raggiunsero il podio delle varie charts rock e alternative di Billboard.

"Shameful Metaphors", terzo singolo estratto, è una mezza ballad dolceamara dalle linee armoniose che esplode in un superlativo refrain energico. Non manca nemmeno la ballata acustica dal forte richiamo emozionale, "Highland’s Apparition", a conferma delle inusuali capacità autoriali del proprio frontman.

"Sleep Apnea", posta in apertura, è l’episodio più tirato e duro del lotto, pur conservando la proverbiale presa immediata che contraddistingue i brani. Certamente efficaci anche "Roswell’s Spell" e "Fell Into Your Shoes" (Loeffler non perde occasione per mostrarsi sempre un cantante con i controcazzi), pezzi dotati di grande personalità.

La parte debole corrisponde all’ultima parte dell’album, dopo un intermezzo strumentale completamente inutile ("Interlewd") seguono "A New Momentum" e la conclusiva "This Circus", molto più anonimi e meno validi di quanto sentito finora.

Beh, con "Sci-Fi Crimes" i Chevelle mettono a segno uno dei colpi migliori della loro carriera, firmando un album che merita di stare nella top three della loro discografia assieme a "What’s Next" e "This Type of Thinking (Could Do Us In)". Una buona occasione per scoprirli o eventualmente riscoprirli, anche perché gli album successivi (tre, finora) non si assesteranno più su questi livelli.

- Supergiovane

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