martedì 30 luglio 2019

Miles Davis: "In a silent way" (1969)

Il 30 luglio di cinquant'anni fa usciva "In a silent way", il disco che concludeva con una nota superba l'esplorazione post-bop di Miles Davis.
"In a silent way" è costituito da due sonate jazz che occupano ciascuna una facciata dell'album, esplorando un jazz d'atmosfera minimalista e sognante ma mai noioso, descrizione immaginifica e narrativa della parte finale di un lungo viaggio musicale. Dopo questo approdo, verrà il momento per la definitiva metamorfosi jazz rock.





Alla fine degli anni sessanta, anche a seguito dell'opera di Miles Davis, i musicisti del rock sempre più sicuro di sé e maturo iniziano a prendere spunto e a dialogare anche con il jazz, sia con il post-bop di Miles Davis e George Russell che con le aspirazioni spirituali di Coltrane e con il free jazz (che in Europa sta avendo grande successo fra gli avanguardisti del jazz). Il jazz moderno in generale e la musica di Miles Davis in particolare sono chiaramente presenti nel lavoro dei Grateful Dead, in quello delle Mothers of Invention di Frank Zappa, in quello dei Soft Machine e dei gruppi del nascente jazz rock come i Colosseum, i Battered Ornaments, i Nucleus, si ritrova nell'opera di Jack Bruce e nel prog dei King Crimson che stanno incidendo il loro album di esordio.

"Nefertiti" (1967) era stato l'ultimo album acustico del trombettista afroamericano Miles Davis e del suo 'second great quintet', prima di introdurre il piano elettrico, il basso elettrico e la chitarra elettrica (suonata da George Benson) in "Miles in the Sky" (1967). "Filles de Kilimanjaro" (1968) è però il primo vero album della svolta, in quanto combina la presenza di strumenti elettrici con la fine del 'second great quintet' stesso: il contrabbassista inglese Dave Holland prende il posto di Ron Carter; Chick Corea si affianca come secondo pianista elettrico a Herbie Hancock; completano il gruppo Wayne Shorter al sax e Tony Williams alla batteria.

Arriviamo così a "In a silent way", che viene considerato una delle massime espressioni della carriera di Miles Davis: eppure, chi dovesse avvicinarsi a tale disco pensando di trovarci un salto di qualità brusco, una innovazione epocale, una transizione rivoluzionaria, in prima battuta potrebbe rimanere deluso. Per sentire qualcosa di palesemente rivoluzionario, bisognerà rivolgersi più che altro a "Bitches Brew", disco inciso da Miles ad agosto, poco dopo la pubblicazione di "In a silent way", ipertrofico album di jazz rock senza freni, in cui Miles Davis decide di abbracciare pienamente la rivoluzione elettrica di Jimi Hendrix.

"In a silent way" è un disco che fornisce invece una idea del tutto diversa: Miles Davis ha già esplorato le improvvisazioni basate su scarne sequenze di accordi, talvolta in modalità più riflessiva, talaltra in modalità più esplosiva: sono queste scelte che lo avvicinano al livello di minore complessità armonica del rock e rendono la sua musica comprensibile al pubblico del rock stesso. D'altronde c'era già poco di difficile da capire e metabolizzare per un appassionato di rock già in "Filles de Kilimanjaro". "In a silent way" quindi non va ascoltato ricercando ciò che sarà "Bitches Brew", o ciò che sono già stati i dischi precedenti.

"In a silent way" rappresenta invece un unicuum nella produzione di questi anni di Miles Davis, per due principali motivi: il primo è l'uso sproporzionato che il produttore Teo Macero fa dello studio di registrazione e di missaggio, il secondo la scelta di dedicarsi totalmente a una musica di atmosfera (gli antesignani che ci vengono in mente sono "Filles de Kilimanjaro" e "Mademoiselle Mabry" del disco precedente). Cosa fa Teo Macero per Miles? I due si mettono a tavolino con i nastri di tre ore di sedute di registrazione (risalenti al 18 febbraio 1969) e ritagliano assoli e parti ritmiche rimontandole fra loro per ottenere due lunghe composizioni che non hanno più molto in comune con le singole esecuzioni di partenza, scegliendo così un intervento ancora più radicale sul materiale registrato rispetto alle modalità di sovraincisione solitamente usate nel rock. Il disco verrà pubblicato il 30 luglio del 1969.

Macero e Davis decidono di costruire le due facciate dell'album ispirandosi alla forma classica della sonata in tre movimenti, con il primo e il terzo speculari fra loro e che riprendevano il tema originario. Si ha così sul lato A il trittico "Shhh/Peaceful/Shhh" e sul lato B il trittico "In a silent way/It's about that time/In a silent way", dove "In a silent way" è una versione modificata di una composizione di Joe Zawinul. Il tastierista austriaco, che compare come pianista elettrico ed organista nell'album, ha sempre dichiarato di essere stato insoddisfatto della scelta di Miles Davis di rimuovere due accordi e semplificare la sua composizione originale.

"In a silent way" risulta così uno dei capolavori di Miles Davis, dotato di una forza espressiva davvero notevole pur nella sua immediatezza. Si tratta di jazz d'atmosfera, è possibile fruirla ma non ignorarla, perché per quanto non complessa richiede attenzione, ha una forza narrativa, le improvvisazioni e il loro montaggio in fase di produzione seguono uno sviluppo chiaro. Il tono generale è meditativo e sognante, la carica suggestiva della musica è innegabile, la sua influenza sui dischi del jazz europeo (soprattutto britannico, scandinavo e tedesco) o del progressive rock è difficilmente sminuibile.

È anche musica ridotta all'osso dopo anni e anni di tentativi di Miles di inseguire il minimalismo più assoluto. Scavare più di così non è possibile, e quindi "In a silent way" appare come l'approdo di cinque anni di fatiche. Il viaggio è finito e la necessità di salpare su nuove rotte produrrà una nuova avventura, che inseguirà la tempesta elettrica hendrixiana con "Bitches Brew".

- Prog Fox

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