giovedì 11 luglio 2019

David Bowie: "Space Oddity/Wild Eyed Boy from Free Cloud" (1969)





Era l’11 luglio di 50 anni fa quando tale David Jones consegnava se stesso alla storia grazie ad un singolo iconico, che gli spalancherà una carriera luminosa. Mr. Jones era, a quel punto, un giovane aspirante artista con un paio di dischi di mediocre successo alle spalle, che aveva tentato di scegliersi uno pseudonimo meno anonimo del suo very british name ed era finito per atterrare su “David Bowie”.




“Space Oddity” è l’inizio dell’epopea artistica di Bowie sotto molti punti di vista: il songwriting è solido e mostra sprazzi della personalità che il nostro dimostrerà di avere nei decenni seguenti; i suoni psichedelici e gli arrangiamenti sono al passo coi tempi; l’humour tagliente e la chiarezza di visione di Bowie sono già ben sviluppate(nella canzone, i giornalisti chiedono a Tom la marca della sua camicia); soprattutto, qui nasce la prima e più importante maschera del nostro eroe, Major      Tom, l’uomo che si perse nello spazio e non fece più ritorno. Il fantasma dell’astronauta accompagnerà Bowie per tutta la sua carriera, dai riferimenti in “Ashes to Ashes” e “Hallo Spaceboy” fino al video di “Blackstar”, dove il teschio di Tom, coperto di pietre preziose, sarà finalmente ritrovato.



Con lui un cast di musicisti stellari del calibro di Rick Wakeman al mellotron, Terry Cox (batterista dei Pentangle​), Herbie Flowers (futuro bassista dei T. Rex), Mick Wayne alla chitarra, oltre a quello che sarebbe diventato l'amico e collaboratore di una vita, Tony Visconti, ai fiati e al flauto. A concludere questo parterre di re, a supportare Bowie c'erano due uomini che avrebbero in seguito fatto la fortuna di Elton John: il produttore Gus Dudgeon e l'arrangiatore di archi Paul Buckmaster.

- Spartaco Ughi

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