(il disco completo con una bonus track si può trovare qua: https://www.youtube.com/
All’ottavo lavoro da studio di una formidabile carriera (seppur marchiata da alti e bassi), i Testament sfornano un’autentica bomba nucleare pronta a deflagrare fragorosamente, come non capitava di sentire dai loro esordi, con la leggendaria doppietta "The Legacy" – "The New Order".
Il gruppo era reduce dal discusso "Demonic", uscito due anni prima, album che, oltre che a latitare in quanto a ispirazione, spostava le coordinate stilistiche verso un thrash rallentato deatheggiante e dal sound pesantissimo; il risultato finale comunque non fu esaltante e nel complesso risultava monotono. In realtà, un po’ tutti gli album prodotti nei nineties dei Testament hanno zoppicato e mostrato lacune compositive, in evoluzioni sonore incompiute e imperfette, verso lidi non ben definiti.
Giunti al termine della decade, a questo giro, il chitarrista Eric Peterson, conscio di non potersene uscire con l’ennesimo contentino per i fan, si gioca l’all-in rivoluzionando la lineup e assemblando una formazione fotonica: fuori tutti tranne ovviamente il socio di sempre Chuck Billy (voce), vengono reclutati il celebre Dave Lombardo (ossia l'uomo quanto più prossimo alla beatificazione come dio in ambito metal negli anni ‘80 e ’90) alla batteria, il funambolico Steve DiGiorgio al basso e il fenomenale James Murphy alla chitarra, il quale può mettere a disposizione di Peterson tutta la sua incredibile tecnica.
Il risultato, come già detto, è devastante. "The Gathering" è l’album che conferì nuova linfa al thrash metal di ispirazione ottantiana e diede inizio a un fantastico revival (una specie di Risorgimento del genere) che proseguì gli anni seguenti con "Violent Revolution" dei Kreator, "Antichrist" dei Destruction, "Tempo of the Damned" dei colleghi della Bay Area Exodus, e, non da meno, con il ritorno in grande stile dei Death "Angel".
La ricetta vincente di "The Gathering" è quella di accantonare le sperimentazioni e le evoluzioni tentate con "Low" e "Demonic", e di ricollocare le coordinate compositive verso gli esordi, arricchendo le composizioni con una notevole tecnica esecutiva; a giovarne è il songwriting, davvero ispirato, sorretto da una sezione ritmica da paura, articolata ed efficiente come non mai.
L’opener "D.N.R. (Do Not Resuscitate)" mostra subito che ci troviamo di fronte a un pezzo dalla perizia sublime: l’intro barocco“demoneggiante” di archi introduce una partenza in quarta della band (guidata dal consueto due quarti slayerano di Lombardo). Gran potenza, alta velocità, oscura melodia, riff e refrain memorabili. E perfettamente assimilabile fin dai primi ascolti. Se non è la perfezione questa, diteci allora cosa lo sia.
Segue un altro pezzo da 90, "Down For Life", song dal tiro pazzesco e da un groove irresistibile, che segue le orme lasciate dal post thrash dei Pantera (ma anche degli stessi Testament quando tentarono l’operazione ammodernamento con "Low"). Sublime "True Believer", dall’incedere cadenzato che non tradisce il mood diabolico del platter. Anche in questo caso, si nota una gran attenzione alla composizione di linee vocali accattivanti e di grande impatto e facile assorbimento, linee che Chuck Billy valorizza al meglio offrendo una performance maiuscola nelle sue metamorfosi vocali. Sulle stesse coordinate si muove anche la precedente "Eyes of Wrath".
Dopo il roccioso mid-tempo dettato da "3 Days in Darkness", arriva un’autentica chicca: la pirotecnica "LOTD (Legions of the Dead)" è un’esplosione di rabbia e velocità, uno dei pezzi più furiosi in assoluto mai composto da Peterson e soci.
Lo abbiamo già detto quanto sia cazzuto Chuck Billy in questo album? Si, effettivamente si. Ma ci teniamo a ribadirlo, talmente cazzuto che permette pure a un pezzo nella norma di elevarsi allo status di 'pezzo figo'. Stiamo parlando della sabbathiana "Careful What You Wish For", che a questo giro rievoca i Testament di inizio decennio - caratterizzati da cambi di tempo, break, stop and go, arpeggi malefici (e il solito Chuck a spadroneggiare). Anche se la qualità è qualche spanna sotto la prima metà dell’album, stiamo parlando comunque di pezzi di buon livello, certamente positivi.
Attenzione attenzione! Arriviamo all’ultimo pezzo, e qua i Testament non si risparmiano affatto! A chiudere le danze, provvede l’imponente "Fall of Sipledome", pezzo su cui tutta la band, soprattutto Lombardo per i suoi trascorsi negli Slayer, si trova perfettamente a proprio agio. Peterson, durante l’unico rallentamento, ci delizia con l’assolo migliore del disco. Ecco, se proprio dobbiamo fare un appunto a The Gathering, dobbiamo constatare che la quantità e la qualità delle parti soliste non regge il confronto con i primi lavori, in cui emergeva tutto il raffinato gusto barocco di Alex Skolnick. Ma a noi va bene così.
Impeccabile anche la produzione ad opera del guru Andy Sneap (in effetti, sarà proprio grazie a questa collaborazione che Sneap diventerà in seguito uno dei producer più richiesti), e affascinante anche cover e booklet a cura dell’illustratore fantasy Dave McKean (doveroso segnalare che si tratta di uno che collabora con Neil Gaiman e Alan Moore), già autore di svariate copertine per gruppi decisamente più mainstream (dai Counting Crows a Tori Amos).
Beh, crediamo di aver detto l’essenziale per descrivere la grandezza di questo album, e la sua importanza per il genere. Sfortunatamente, proprio quando il gruppo era tornato sulla cresta dell’onda, le precarie condizioni di salute di Chuck Billy li costrinsero ad interrompere la propria attività: nel 2001, pochi mesi prima che un altro grande Chuck (Schuldiner dei Death) se ne andasse, gli venne diagnosticato un carcinoma maligno, e dovette impiegare diversi anni prima di riprendersi.
Bisognerà attendere ben nove anni per tornare ad ascoltare un loro lavoro inedito da studio. Ma nonostante la lunga assenza forzata, nessuno si dimenticò di loro, e di quello che riuscirono a realizzare con "The Gathering".
- Supergiovane
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