Il 13 giugno di cinquant'anni fa veniva pubblicato "More", terzo album dei Pink Floyd e colonna sonora del film omonimo di Barbet Schroeder.
Un classico disco di transizione che porta il gruppo definitivamente fuori dall'ombra di Syd Barrett, vede affermarsi Roger Waters come autore e soprattutto regala un lato A pieno di musica meravigliosa.
(si può ascoltare l'LP qui: https://www.youtube.com/ playlist?list=PLfimnwaZdumi 4h5H4u9UTGqkDbmYPrhuD)
Perso definitivamente Syd Barrett, i Pink Floyd vengono incaricati dal regista francese Barbet Schroeder della colonna sonora del suo esordio cinematografico, "More" (tradotto in italiano con "Di più, ancora di più"), un drammatico film sulle conseguenze tragiche della vita degli hippie, segnatamente il dramma dell'eroina.
Il film, girato e ambientato a Ibiza, all'epoca meta di pellegrinaggio di tanti hippie inglesi e francesi, ottiene critiche positive e stimola la creatività del quartetto - formato dai fondatori Roger Waters al basso, Richard Wright alle tastiere, Nick Mason alla batteria e David Gilmour alla chitarra - o meglio, la stimola a metà, visto che se il lato A è straordinario, il lato B arranca un po' senza fornire momenti memorabili.
Ma veniamo al lato A. Waters (qui già principale compositore) e i suoi soci iniziano a impostare le coordinate future del loro sound, ovvero canzoni mid-tempo se non soporifere su cui domina il suono maestoso delle tastiere (come anticipato nel disco precedente "A saucerful of secrets" dal prodigioso finale della title track) o quello struggente della chitarra acustica.
È quindi Wright a imporre i suoni tragici che sciolgono il capolavoro iniziale "Cirrus Minor" in un tramonto liquido nel mare Mediterraneo dopo la prova vocale dissociata e apatica di Gilmour (che canta qui tutte le canzoni), mentre è il chitarrista a colorare con dolcezza e insostenibile malinconia l'altra perla "Green is the colour".
Tale disegno si ripete anche per altri due eccellenti brani del lato A, la nervosa "Cymbaline" con la bella coda di Wright e la sognante, lisergica "Crying Song" con le decorazioni elettroacustiche di Gilmour e Wright al vibrafono. Anomalia e brano più pesante di tutta la produzione floydiana è invece l'eccellente "The Nile Song", hard rock furioso che racconta la folle corsa della coppia di amanti verso l'autodistruzione causata dalla droga. Completano un perfetto lato A l'esercizio di stile di Wright e Mason "Up the Khyber" per organo e percussioni e la breve "Party Sequence".
Nel lato B, come già detto, c'è poco di memorabile: una bizzarra "A Spanish Piece" con Gilmour che simula un ubriaco, una brutta copia di "The Nile Song" intitolata "Ibiza Bar", e qualche residuo strumentale non troppo ispirato.
Ce n'è comunque più che a sufficienza per rendere "More" un piccolo classico, e il lato A non può sfuggire a un vero fan dei Floyd, anche perché contiene in nuce già tutti gli elementi che faranno sfondare il gruppo anni dopo con "Dark Side of the Moon".
- Prog Fox
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