sabato 15 giugno 2019

Joy Division: "Unknown Pleasures" (1979)

Il 15 giugno 1979 viene pubblicato "Unknown Pleasures", il disco di esordio dei Joy Division. Il gruppo di Ian Curtis da alla luce un album opprimente che rappresenta una delle pietre fondanti del post punk e un ponte verso gli anni ottanta, anche grazie alla produzione innovativa di Martin Hannett.



(disco completo qui: https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_lXr-sp_0szEHjlQGMxopta8FU0wciAHHE)




Anno di grazia 1979, più o meno, Manchester. 

Non deve esserci, ad occhio, una atmosfera particolarmente gioiosa, né nel Regno Unito né nel resto dell'impero occidentale.
Si è provato - certo - con il punk, con la sua costruita irriverenza, a scombinare le carte e a mandare al diavolo qualcosa o qualcuno.
Ma c'è dell'altro che pulsa ora sottotraccia nelle teste: qualcosa di nuovo e di profondamente diverso.
Una visione del mondo e delle cose essenziale, scarna e gelida. Un fucile puntato verso le proprie tempie, verso le inquietudini del singolo.
Si inverte il meccanismo di catarsi: non più esplosione esplicita, sguaiata e rumorosa, ma dinamite che va a scavare dei cunicoli del proprio animo senza che quasi nulla trapeli alla superficie.

I catalizzatori principi di queste onde telluriche sono i Joy Division che, dopo un periodo di sotterranei tentativi, riescono con "Unknown Pleasures"
a mettere nero su bianco un perfetto manifesto di queste nuove e mai sopite ansie.
Con la sua voce Ian Curtis è il maestro di cerimonie di questa celebrazione nera: si ascolti subito "New Dawn Fades" per immergersi immediatamente in questo rituale fatto di essenzialità nelle linee ritmiche (ipnotiche, ossessive, incalzanti) e gelidi tessuti vocali.
"Disorder" è l'apertura del rito, con il basso che frenetico alza i battiti e la voce - quasi recitata ed asettica - contiene ogni esplicita emozione
Contiene solo formalmente: in realtà, ed è banale svelarlo, il gioco di sottrazione e di ricercato minimalismo è decisamente quanto di più emotivamente coinvolgente si possa proporre.

I "Joy Division" arredano una stanza con una sedia, un letto e poco più. Poi spengono la luce e ci lasciano vagare nel buio.
La voce di Curtis recita lezioni di dissociazione, di perdita di senso ("She's Lost Control", "Shadowplay"), di solitudine.
La produzione, pesantissima e presentissima, riesce a imporre come fondamentale il tema ritmico e marziale.
La sezione chitarristica viene con abilità quasi nascosta alla percezione immediata per rivelarsi invece come asse portante e seminale con il progredire degli ascolti.
L'esplosione avviene di rado ("Interzone" è un sontuoso esempio), la miscela tende al nero e alle pulsazioni regolari ed ossessive.

"I Remember Nothing" è la perfetta chiusura della cerimonia: quasi insostenibile nella dilatazione e nei battiti dell'onnipresente basso, è uno dei momenti più espliciti e netti mai messi su disco da Curtis. Impotenza unita ad indolenza.
Dolore, angoscia e sogni oscuri, schiocchi di frusta a tagliare pelle e anima.

La tela che il ragno tesse è avvolgente e quasi confortevole nel suo bozzolo.
Riuscire a liberarsi da questa gabbia sarà dono non concesso a Ian, non ci sarà per lui un "andate in pace" al termine della messa.

Chi ha ascoltato queste tracce e ne ha percepito in pieno la necessità e il senso, avrà da ora e per sempre nel proprio radar emotivo le onde, iconicamente
rappresentate nell'epocale copertina del disco; non potrebbe essere altrimenti dopo questo unico, memorabile ed epocale giro di vite nella parte più buia dei nostri animi.

- il Compagno Folagra

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