venerdì 14 giugno 2019

Baroness: "Gold & Grey" (2019)

Esce oggi "Gold & Grey", quinto album degli americani Baroness, guidati dal cantante e illustratore John Baizley, che vede la prima partecipazione su loro long playing della nuova chitarrista solista Gina Gleason.
Disco eclettico e fortemente rock, rappresenta l'ennesimo ottimo risultato artistico di un gruppo sempre ispirato alla ricerca di una via personale.



(il disco completo si può ascoltare qui:https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_kqi3ECPn2xHvZh4_pKWD-DxvdQAKcT3QQ)




Se il rock e il pop non fossero stati nell'ultimo ventennio fagocitati e distrutti dalla temperie ultraindividualista e antintellettuale che ha devastato il mondo, un disco come "Gold & Grey" sarebbe ampiamente nello standard del classic rock moderno e i Baroness sarebbero fra i gruppi di punta dei festival dell'estate.

Invece siamo molto lontani da questa situazione.

Chiaramente da una descrizione simile emerge che chi scrive non ritenga il gruppo né particolarmente rivoluzionario e intraprendente, né troppo eclettico, e nemmeno troppo violento o hard che dir si voglia (si senta la seconda traccia, "I'm already gone", con echi quasi dei Depeche Mode). I Baroness da tempo hanno perso la pelle metallica che a inizio carriera li faceva assomigliare ai Mastodon, né possono essere catalogati come quel post metal alla Isis che ancora andava nell'underground qualche tempo fa.

"Gold & Grey" è un disco fortemente, decisamente, caparbiamente rock, nel bene e nel male. Una vera scintilla rock come negli ultimi anni se ne sono viste - non tante, ma neppure così poche - eppure il mondo rimane imperturabile a quella che è una evoluzione tanto naturale del suono classico del rock and roll quanto lo era il jazz degli anni cinquanta rispetto a quello del decennio precedente.

Quello che certamente manca ai Baroness per realizzare con "Gold & Grey" un classico del rock classico - perdonate il gioco di parole - è il pezzo culmine. Epico, catartico, ballata o poppettone che sia, ci vuole, in questo tipo di musica, almeno un pezzo irresistibile che fissi memoria ed emozione al resto dell'album. Ma tolto questo, il disco, pur nella sua lunghezza (1 ora giusta giusta) ed estroversione sonora, resta di livello eccelso ("Tourniquet", "Throw me an anchor", "Broken halo").

Perché non ci sono più dischi simili? Forse la spiegazione sta nel fatto che il rock è un genere di retroguardia, per tanti motivi, cristallizzato fra dinosauri con il nome e tanti artisti semisconosciuti che lo rendono sempre più un prodotto di nicchia che assomiglia - pregi e difetti - sempre più al jazz, dai numeri di chi lo pratica a quelli di chi ne ascolta gli artisti nuovi, con dinosauri e occasionali star a coprire il vuoto (soprattutto di investimenti e visibilità) che investe le nuove generazioni.

Ma senza spingerci troppo in là nel sociologico e nell'economico, torniamo a parlare di "Gold & Grey". Il disco, come detto, è lungo, eppure non risultano canzoni particolarmente superflue, dato che il livello medio è davvero alto. Assieme alla lunghezza va però tollerata l'atmosfera del disco, che è quella di un piagnisteo cosmico-epico da post-metallari fatalista-struggenti, un po' più dignitosi degli emo ma comunque un po' troppo compresi da se stessi. Se queste tonalità fra epos e rassegnazione non vi pesano ("I'd do anything"), allora il "Gold & Grey" fa decisamente per voi e non potrete averne abbastanza.

A tratti sembra quasi di sentire i Motorpsycho che suonano i pezzi più duri e deprimenti dei Foo Fighters ("Front toward enemy"), altre volte i Motorpsycho che suonano i Mastodon, ci vengono in mente i Motorpsycho perché il loro suono fra hard rock, grunge e neopsichedelia ricorda un po' i Baroness, anche se le atmosfere e le emozioni scelte dai Baroness sono piuttosto diverse ("Cold-blooded angels", "Borderlines").

Sia come sia, lo sforzo del gruppo di John Dyer Baizley - chitarrista-cantante e unico superstite della formazione originale - di percorrere una strada personale nel rock moderno va assolutamente apprezzata, tanto più quanto meno gruppi ci sono che riescono a farlo con questa capacità programmatica e tecnica musicale stando lontani dai sentieri più corrivamente metallici o da quelli di un alternative/indie ormai davvero sbiadito.

Dovrebbe essere la norma, e invece davanti a un disco il cui massimo pregio è la schiettezza con cui si persegue il proprio suono (e il massimo difetto che lo si persegua senza mai esulare dalle regole del rock) tocca alzarsi ed applaudire.

- Prog Fox

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