sabato 1 giugno 2019

Blink-182: "Enema of the State" (1999)



(il disco completo si può ascoltare qui:https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_ku1eCIHSQXftkjdy1pDCmCHYLyHza-agY)




Sgombriamo il campo dagli equivoci: "Enema of the State" è un grande disco. 

Detto questo, ci tiriamo giù i pantaloni e mostriamo le chiappe a chiunque ritenga che un disco adolescenziale di tre venticinquenni immaturi con l'amore per il punk e la figa non possa essere un gran disco, perché lo è. Anche se si chiama "Enema of the State", che significa 'clistere dello stato' e gioca con l'espressione "Enemy of the State" ('nemico dello stato') e ti sbatte in copertina l'attrice porno Janine Lindemulder vestita da infermiera che sta per farti una ispezione anale.

"Enema of the State" è grande perché non tutti i grandi dischi possono essere sofferenza, impegno politico e sociale o avanguardia. Un'opera d'arte ha diverse chiavi di lettura e parla a diversi strati della società. I Blink-182 (Tom DeLonge, canto e chitarra; Mark Hoppus, canto e voce; Travis Barker, l'ultimo arrivato e il vero fenomeno, drummer) giocano il ruolo di versione punk californiana del primo Max Pezzali, se vogliamo - è vero, ci sono le gag escatologiche degne di quello schifo di film che è "American Pie", ma è un disco che ci riporta anche all'origine culturale del rock'n'roll, una musica in cui adolescenti piccolo-borghesi con le voglie da ribelle e la confusione brufolosa dei primi turbamenti amorosi trovavano un modo per sentirsi parte di qualcosa, per sentirsi capiti e meno soli, tanto più quanto più sfigati ("The Party Song", in cui Hoppus racconta del disagio di ritrovarsi a una festa piena di tizi fighi, tutti belli atletici e interessati allo sport - se siete stati dei nerd avete sicuramente imboccato per sbaglio a una festa di liceali tipi da palestra e giocatori di calcio tutti definiti, tatuati e bellocci).

Da questo punto di vista, "Enema of the State" è il disco adolescenziale e post-adolescenziale definitivo.

Comprese le stronzate complottare di Tom DeLonge ("Aliens exist", e ovviamente esistono per farci sesso) che lo porteranno a uscire fuori di testa (e dalla band) molti anni dopo.

Musicalmente è orecchiabilissimo, erede perfetto dello spirito dei Ramones. "Dumpweed" e "Don't leave me" aprono il disco facendoci capire subito che siamo di fronte a qualcosa di grande. Umoristico, anche quando l'umorismo è stupido ("Dysentery Gary" - visto che il tipo mi ha fregato la ragazza allora lo insulto con battute da terza elementare). Con quel tanto di teenage angst che basta, come nel capolavoro finale "Anthem" o nel momento malinconia del disco, la "Adam's Song" che Hoppus scrive dal punto di vista di un suicida e dedica a se stesso per la pesantezza di essersi fatto nove mesi di tour di fila e non riuscire più a farcela, a starci dentro.

"What's my age again" è un vaffanculo a chi ci accusa di essere immaturi, grandissimo singolo che impallidisce di fronte a un altro masterpiece come "All the small things", con uno dei video più belli dell'universo in cui si perculano Backstreet Boys, Britney Spears, un po' chiunque, mentre filano i tre minuti di questa canzone spettacolare.

Se non avrete pregiudizi, questo disco vi farà sorridere, ridere, ricordare i vostri anni delle superiori, pogare di fronte ai ritmi punk di Barker, fare air guitar con i tre accordi della chitarra.

Un disco irresistibile, punto e basta.

- Red

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