domenica 5 maggio 2019

St. Vincent: "Actor" (2009)



(disco completo disponibile qui:https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_m_L7v9DbSlXUyG_r04GAR0zYJRAGh2sa0)




C’è una corrente profonda, fresca e sofisticata, nel grande oceano della musica pop/rock. Essa unisce le melodie easy listening e i ritmi più danzerecci con un intellettualismo screziato di ironia e una certa maestria strumentale, propria o presa in prestito: a questo proposito è facile notare che personaggi come Robert Fripp, Adrian Belew e Tony Levin, oltre ad aver contribuito in maniera determinante allo sviluppo del filone con l’incarnazione “disciplinata” dei King Crimson, abbiano fatto vibrare le proprie corde in associazione con i più importanti esponenti di questa categoria di artisti, Brian Eno e Talking Heads (ma anche Peter Gabriel) su tutti.

E non è solo perchè David Byrne ha realizzato un intero disco con Annie Clarke a.k.a. St. Vincent, che abbiamo scritto questa introduzione: la chitarrista dell’Oklahoma (ma presto adottata da New York) è una delle principali eredi di questo nobile lignaggio, sia per quanto riguarda il suo songwriting, al tempo stesso immediatamente fruibile e sofisticato, che per la sua immensa qualità come chitarrista, sfruttata a suo tempo da quel malandrino di Sufjan Stevens prima che la nostra si mettesse in proprio e pubblicasse il suo album di debutto, “Marry me”, nel quale suonava anche Mike Garson, il pianista di Bowie (che uno ci prova a non citarlo costantemente quando si parla di robe belle, ma poi lui riciccia fuori sempre).

Per il suo secondo album, questo “Actor” appunto, miss Clarke fa praticamente da one (wo)man band: voce, chitarre, bassi e tastiere sono in larga parte suonati da lei, e a rimanere fuori ci sono solo le percussioni, i fiati e gli archi (e qualche linea di basso qua e là).

La produzione del disco è stata travagliata, con cambi di produttore,ri-registrazioni dell’ultima ora, crisi di nervi e maratone di film Disney degli anni ’30 (è tutto vero), una sicura ricetta per un collasso nervoso e un capolavoro. E di capolavoro si tratta, ascoltare per credere: le tracce si muovono suadenti tra ritmi classici e vampate di chitarra fuzz, repentini cambi di ritmo e progressioni imprevedibili verso aperture sinfoniche degne di Danny Elfman e forse un po’ reminescenti dei primissimi King Crimson (in “Black Rainbow”, ma qui forse sono io che ho esagerato le dosi ‘sta settimana).

Tra mid-tempo seducenti e perturbanti (“Laughing with a mouth of blood”, “Save me from what I want”, “The party”), potenziali hit synth-psych (“Actor out of work”, “The neighbours”), e ballate improvvisamente spaccate in due dal succitato distorsore fuzz ( “The strangers”, ”Just the same but brand new”), c’è pure il tempo per un brano di vero e proprio rockCrimsoniano come “Marrow”, che non stonerebbe troppo nella tracklist di “Thrak”, eccetto per la voce agrodolce della nostra.

E di cosa canta, questa voce di zucchero e frutta estiva? Di piacere e colpa, di bisogni fisici e di desideri proibiti; del perseguire le proprie voglie nonostante gli occhi giudicanti dei vicini, la presenza di un partner, il senso di colpa. Facile intravedere la consapevolezza che Annie Clarke già aveva, dieci anni fa, della propria sessualità, oggi che noi comuni mortali la vediamo mano nella mano con Cara DeLevigne, a titillare la nostra fantasia dalle foto di una sera di gala. Ma questo“Actor” era già una decisa dichiarazione d’intenti: St. Vincent vuole un posto al sole nell’immaginario collettivo e, perdio, se lo sta prendendo poco a poco. Chi è pronto ascommettere che raggiungerà lo status di icona del rock di questo decennio?

- Spartaco Ughi

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