sabato 9 marzo 2019

Wilco: "Summerteeth" (1999)

Il 9 marzo di vent'anni fa usciva uno dei dischi fondamentali di fine anni novanta, "Summerteeth" degli americani Wilco, forse il migliore album della loro carriera. Jeff Tweedy, Jay Bennett, John Stirratt e Ken Coomer, nonostante il clima caotico che si respira nel gruppo, danno alla luce un disco dai motivi folk, pop, country e alternative, che sarà di ispirazione per molti nuovi act dell'indie del decennio successivo.




 (disco completo con bonus track disponibile qui: https://www.youtube.com/playlist…)

Con l'ingresso in formazione fissa del polistrumentista Jay Bennett, i Wilco si apprestano a realizzare il loro capolavoro, "Summerteeth", uno di quei dischi determinanti nel forgiare un'epoca, quella dell'indie rock degli anni zero alimentato da un fuoco di folk cantautorile alla Dylan, alt country e amore per i maestri del pop - scontato il riferimento a Beatles e Beach Boys, ma altrettanto importante quello di gruppi come gli XTC, specie dell'era di "Skylarking".

Queste sono le coordinate all'interno delle quali Jeff Tweedy, cantante, chitarrista e leader dei Wilco, fa muovere le sue composizioni individuali e quelle scritte con Bennett e col bassista John Stirratt. Completa la formazione il preciso, intelligente batterista Ken Coomer.

Le registrazioni di "Summerteeth" sono turbolente e problematiche: Tweedy, che da sempre soffre di varie forme di problemi nervosi, fra cui violente emicranie, è ormai dipendente dagli antidolorifici, depresso a causa dei tour che lo allontanano dalla famiglia, e ha sviluppato una relazione di lavoro morbosa con Bennett, con i due che registrano in studio anche all'insaputa di Stirratt e Coomer, che devono lottare per tenerli nei binari (una lotta alla fine persa: Coomer due anni dopo mollerà il gruppo, e nel 2002 Tweedy litigherà con Bennett, lasciando solo il fido Stirratt al suo fianco - l'inquieto Bennett morirà per una overdose di fentanyl nel 2009).

Dalla fertile, turbolenta creatività del periodo sorge però "Summerteeth", appunto, una vera e propria meraviglia sospesa tra profonda poeticità, fantasia pop e colori di roots e folk americano. I testi di Tweedy si dedicano soprattutto al suo rapporto con la moglie Sue Miller (per sposare la quale egli si è convertito all'ebraismo), che li legge e approva a malincuore, temendo possibili fraintendimenti (si pensi a versi come 'she begs me not to hit her').

Il disco, tutto di buonissimo livello, genera inoltre una mezza dozzina di capolavori: ai brani più folk appartengono "She's a jar", struggente rivisitazione del rapporto con la moglie a base di chitarre acustiche e organo, la lunga meditazione catartica di "Via Chicago", che ospita una delle prove più fantasiose di Coomer di tutta la sua carriera. La fase più pop del disco è rappresentata al meglio sia dal pianismo di "We're just friends", un po' Lennon e un po' McCartney, da "I'm always in love", che ricorda le coeve ispirazioni da Beach Boys degli Apples in Stereo, da un altro pastiche beatlesiano come "My darling" (altra maestosa prova di Coomer). Infine, le credenziali rock dell'album sono salvate da tour de force come "Can't stand it" e "A Shot in the Arm", uno dei tre brani del disco che porta la firma del bassista Stirratt.

"Summerteeth" è, mutatis mutandis, un po' la "Dark Side of the Moon" dell'indie rock e dell'alt country - e scusate se è poco. Disco che porta a pieno compimento un lungo discorso musicale che si è snodato a partire dal college rock e dell'alt country del decennio precedente, senza essere innovativo nei suoi singoli elementi, diventa la pietra di paragone sulla quale edificare le basi del proprio suono per un numero incalcolabile di band successive, dagli Okkervil River agli Iron & Wine, non tutte altrettanto ispirate.

- Prog Fox

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