mercoledì 27 marzo 2019

Ian Hunter: "You're never alone with a schizophrenic" (1979)



(disco completo con un fantastilione di bonus tracks:https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_kXJVcR89XV5i5wx8JtpbucRPCMSvGLY18)

Ian Hunter è una figura quasi sconosciuta nel rock, non solo in Italia ma anche nella sua patria, il Regno Unito, e in America, dove pure due sue canzoni ebbero un successo enorme come cover altrui. Le canzoni, "Ships" (sarà hit per Barry Manilow) e "Cleveland Rocks" (hit quindici anni dopo per i Presidents of the USA), facevano parte del suo disco solista del 1979, "You're never alone with a schizophrenic".

Quarto disco solista, perché Hunter, dal 1968 al 1974, era stato il leader, primo cantante e seconda chitarra dei Mott The Hoople, un eccellente gruppo di rock britannico che fuoriuscì dall'underground in cui si trovava solo per il tempo di esplodere con un unico brano, quella "All the young dudes" che un fan del gruppo che si chiamava David Bowie - forse ne avete sentito parlare - scrisse per loro.

Il titolo "You're never alone with a schizophrenic" è un'idea del produttore del disco, Mick Ronson, l'ex spalla di Bowie negli Spider from Mars che lo supportarono nell'era di Ziggy Stardust. Ronson, oltre che inventare il titolo e fare da produttore, suona anche la chitarra solista e fa da seconda voce per Hunter. I due genietti realizzano così un ottimo disco senza fronzoli, capace di trasmettere una sarcastica grinta, rabbia e commozione come nei migliori esempi del rock classico, grazie in primis alla versatile e convincente voce del protagonista.

La terzina di apertura del disco è un vero capolavoro di emozioni e sensazioni: la scanzonata, ironica "Wild East" è degna del migliore Iggy Pop; "Cleveland Rocks" è da qualche parte fra i tardi Hawkwind, il Bowie di fine settanta e la seconda fase dei Blue Oyster Cult, con un ritornello fragoroso e irresistibile; "Ships" è la struggente vena romantica di Hunter che si innalza a vette sublimi.

Sul lato B incantano il fenomenale rock'n'roll di "Life after death", ritmata e potente, che dopo un inizio in sordina vi afferra alla gola senza lasciarvi più andare, complice la chitarra di Mick Ronson; e il rock epico e maestoso del finale di "The Outsider", sorta di autobiografia di questo artista di culto, sempre lontano dal vero successo, sempre caratterizzato come i migliori rocker da una dignità di fondo inesauribile; così come impressionante è il supporto chitarristico fornito da Ronson al brano.

A fianco del dinamico duo ci sono poi altri personaggi d'eccezione, e come sapete a noi piace sempre ricordare i nomi dei grandi gregari che sanno tradurre idee e abbozzi dell'architetto in edifici di pura arte: il batterista Max Weinberg, il pianista Roy Bittan e il bassista Garry Tallent vengono prestati ai due da Bruce Springsteen; i coristi Rory Dodd ed Ellen Foley vengono dritti dal gruppo di lavoro di Jim Steinman (per chi non lo sapesse: Steinman è l'autore #1 di Meat Loaf e compositore per esempio di "Total eclipse of the heart"; Ellen Foley ha duettato con Loaf e suonato in diversi progetti di Steinman; Dodd ha cantato per Steinman ed è la voce maschile di "Total eclipse of the heart). Completano il gruppetto di collaboratori il signor Eric Bloom dei Blue Oyster Cult, amico di Hunter che presta anch'egli la propria voce ai cori, e i sassofonisti Lew Delgatto e George Young. In "The Bastard" compare a piano e sintetizzatore anche un altro grande amico eroe di culto, l'ex-Velvet Underground John Cale.

Per chiudere questa recensione non ci resta che dirvi: amanti del rock classico, del Bowie dell'era Spiders from Mars, e ovviamente amanti dei Mott the Hoople, questo disco è per voi. Non vi deluderà in alcun modo.

- Prog Fox

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