Il 10 marzo di dieci anni fa usciva "Scream", terzo disco solista di Chris Cornell e unica vera macchia di una lunga ed eccellente carriera. Un disco davvero mal concepito, nel quale c'è poco da salvare.
"Scream" rappresenta l’unico vero grande flop dell’autore nativo di Seattle. Pesantemente
stroncato pressoché all’unanimità un po’ ovunque, la famosa rivista
Rolling Stones gli appioppò addirittura uno zero tondo. Un album
pessimo, estemporaneo, indifendibile, una stronzata apocalittica, il
buon Chris in questo caso la fece davvero fuori la tazza del wc.
Il problema non fu soltanto la collaborazione con Timbaland e
l’escursione verso generi come l’electro-pop e il r’n’b (con lievi
venature soul), il problema sta proprio nel fatto che le composizioni
sono la quintessenza della mediocrità, prive di linee vocali efficaci e
arrangiamenti elettronici degni di nota.
Tagliamo corto, il
problema del disco non risiede nel fatto che porta la firma di Cornell,
né tantomeno il dominio quasi assoluto dei sintetizzatori sulle chitarre
elettroniche, questo sarebbe un cesso di album pure nel suo genere. Il
pezzo d’apertura, "Part of Me", fa immediatamente gridare 'WHAT THE
FUUUUCK??!?!?' sin dai primi secondi, synth’n’bass modernissimo dall’eco
vagamente latineggiante, coretti insulsi, un refrain imbarazzante e un
Cornell fuori fase e sprovvisto di mordente.
E il resto
dell’album è pure peggio, una serie di canzoni una più inaffrontabile
dell’altra, composte per la maggior parte da Jim Beanz, uno abituato a
scrivere pezzi e linee melodiche per Britney Spears e Ashley Simpson,
tanto per intenderci.
Solo a metà disco riusciamo a trovare
qualcosa di decente, "Take Me Alive", co-firmata da Justin Timberlake
che duetta con Cornell, è pure un pezzo interessante con il suo mood
kashmireggiante. Gradevole anche la successiva "Long Gone", e
decisamente meglio è la sua versione “elettrica” inserita come bonus (il
cui videoclip all’epoca girava spesso su MTV e Virgin TV), semiballad
radiofonica dai versi e ritornello molto immediati, probabilmente troppo
stucchevole per Cornell il quale comunque si trova a suo agio su queste
tonalità garbate. Ma tutto il resto è da dimenticare.
Paradossalmente troviamo nella ghost track, la buona "Two Drink
Minimum", gli echi del Chriss Cornell che abbiamo imparato a conoscere,
questa breve traccia fantasma di tre minuti che consiste in un sostenuto
blues d’annata dall’umore malinconico, che rispetto al resto del disco
fa un figurone.
Che dire, una macchia in una straordinaria
carriera trentennale. Anche se lo stesso Chris Cornell non ha mai
rinnegato né tantomeno dichiaratosi insoddisfatto di questo "Scream", ci
piace pensare che abbia passato il resto del 2009 a meditare sulla
direzione artistica che voleva intraprendere, e che le sue riflessioni
siano sfociate nella reunion dei Soundgarden, ufficializzata il primo
gennaio dell’anno successivo.
- Supergiovane
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