martedì 19 marzo 2019

Beach Boys: "L.A. (Light Album)" (1979)

Il 19 marzo di quarant'anni fa usciva "L.A. (Light Album)", universalmente considerato uno dei peggiori dei The Beach Boys. Nella nostra recensione, però, vi spieghiamo perché non sia così e perché valga comunque la pena ascoltare questo disco.



(disco completo disponibile qui:https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_mzBF9T15GYzY6Q365wxWECc4a9-o3lLMk

Già a partire dal titolo si potrebbe pensare che sto disco sia una mezza pantegana. In effetti dai chiamarlo con un acronimo dopo quella stronzata del disco precedente, "M.I.U.", che era Meditational Trascendental Union o qualche cosa simile, ma perché?

Da nuovo contratto i Beach Boys dovevano incidere un disco scritto e prodotto almeno al 75% da Brian Wilson, e infatti il fratello geniale suona il piano e fa i cori in una canzone recuperata dal 1974 e nient'altro. La disperazione afferra i Ragazzi della Spiaggia alla gola e quindi richiamano l'amico Bruce Johnston per produrre. Tutto sembra veramente andare verso il fallimento, e infatti la critica, come spesso avviene, non può che godersela a massacrare il disco senza nemmeno sentirlo.

Perché se uno lo sentisse, corbezzoli, dai, niente male!

Sempre se siete di quelle persone che piangono nella loro stanzetta ascoltando F. De Gregori con un cuscino sulla faccia, questo disco vi emozionerà e non poco. Angelico pop con cori celestiali, molta, molta dolcissima malinconia e un paio di cose assurde.

Tra cui una delle cose più assurde fatta dai Ragazzi della Spiaggia in tutta la loro carriera: una autocover disco che occupa esattamente 1/4 dell'album di "Here comes the night", che per la miseria era una canzone da tre minuti del 1967. Ma perché? Che poi cazzo la disco stava diventando il genere più odiato di tutto il mondo e voi ce li vedete i fanz dei Ragazzi della Spiaggia, quelli rimasti a fine settanta, strapparsi le mutande per sentire i coretti su una base disco abbastanza insensata? Trash a livelli paurosi, nei concerti veniva fischiata tanto che dovettero smettere di eseguirla. Per fortuna.

L'altro motivo di ilarità, non si sa bene perché, è "Sumahama", di Mike Love, che è un jappo pop davvero riuscito, con versi in inglese e giapponese, ma doveva essere ridicolo perché non si poteva mica lasciare che i Ragazzi della Spiaggia nel 1979 facessero pop sperimentale.

Ma ok, lasciamo perdere "Here comes the night", lasciamo perdere "Sumahama". Il resto? Il resto spacca, nel senso, spacca quanto può spaccarlo un disco di pop angelico, cioè più che spaccare al massimo separa le acque per il passaggio di Cristo o di Mosè, davanti a "Good Timin'", "Lady Lynda" (canto d'amore di Al Jardine per la moglie con citazione di Bach), "Full Sail" di Carl Wilson che boh perché gli Eagles vendevano i milioni con ballate così e i Beach Boys non possono nemmeno inciderle?

Davanti alla struggente malinconia di "Angel come home", "Love surrounds me" e "Baby Blue",cantate da un Dennis Wilson in stato di grazia, voce raschiata dall'alcool e dal dolore, che gli vuoi dire ai Ragazzi della Spiaggia? Ascolti e ti immalinconisci perché sono ormai degli ultratrentenni pieni di alcool, droga, problemi psichici ed emotivi, ma ci provano lo stesso a tenere fede al loro nome di Ragazzi della Spiaggia, e allora il pop non sembra più dolce né stupido ma sembra il tentativo di rimanere appesi alla propria vita e alla propria integrità artistica. Poi infatti andranno anche a fare i cori per "The Wall" dei Pink Floyd, raga, non scherziamo.

- Red

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