venerdì 22 marzo 2019

Andrew Bird: "My finest work yet" (2019)



(album completo qui: https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_kCWC1BfZ0AePTFwY_dVzN1PIVAaosmVtQ)

Andrew Bird è ormai un veterano dalla carriera più che ventennale. Cosa può fare un artista di buono dopo tanti anni? Intanto, prendersi in giro da solo con un titolo come "My finest work yet", per poi fare un disco bruttissimo... No, scherziamo. Se "My finest work yet" non è il suo miglior lavoro in assoluto, non ci manca molto. Si tratta infatti di un disco interessante di folk pop rock lieve ma per nulla leggero, venato da una sottile malinconia e percorso da uno sguardo intenso sulle distese immense dell'America rurale.

Bird dirige un gruppo di nove musicisti (se stesso compreso alla chitarra e al violino) in varie configurazioni. "Sysyphus" riprende il mito greco ed è il singolo di lancio, con la melodia che frega sembrando banale ma poi invece scappa di qua e di là e non si lascia ben definire. "Bloodless" tocca terreni jazz pop e ricorda un po' Rufus Wainwright, il plus è l'assolo di Bird al violino, è sempre bello sentire assoli nel 2019, così come succede per la notevole "Proxy Wars" che richiama alla mente una lunga genìa di country rockers progressivi come i Seatrain, i Flock e i Muleskinner.

A giocarsi la palma di brano più clamoroso ci sono "Olympians", con un andamento country rock e un ritornello trascinante e una intensità ficcante nelle parole e nelle voci, e la sarabanda multicolore di "Don the struggle", geniale negli arrangiamenti, nei cambi di ritmo e di melodia che ci strappano il cuore dal petto.

Bird ormai è un maestro del genere: non aggiunge nulla di radicale alla propria opera, ma sa come coinvolgere l'ascoltatore andando al di là di una banale gradevolezza (che già sarebbe qualcosa) cercando di trovare uno spunto interessante in ogni canzone; al folk e al pop sfuggono sempre fiammate blues, jazz, rock in un amalgama molto naturale, che perdipiù sceglie accuratamente di evitare le trappole elettroniche e i suoni artificiosi che hanno incastrato negativamente altri autori della sua generazione, dagli Okkervil River agli Iron & Wine ai My Morning Jacket.

Finora il disco cantautorile più bello dell'anno.

E la copertina che cita la morte di Marat è un tocco di classe a sugello del tutto.

- Prog Fox

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