mercoledì 27 febbraio 2019

Daniele Groff: "Variatio 22" (1999)

A seguito della sua partecipazione a Sanremo con la canzone "Adesso" (23-27 febbraio 1999), viene ristampato "Variatio 22" del cantautore trentino Daniele Groff, il suo album di debutto uscito pochi mesi prima, peculiare tentativo di riportare in Italia un suono deliberatamente ricalcato sull'opera degli Oasis e del britpop in generale, dai Verve ai primi Blur. 



(il disco completo si può trovare qui: https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_lnGR9qJ9R7jIuU9uNKFt1w9axi80I-ydo)

Non è un dramma pasteggiare in un fast-food per la mia generazione, immune all'influsso televisivo di chef con la pretesa di rendere ogni piatto un'opera sinestetica. A volte piace, a volte non c'è tempo, a volte è solo fame. Per questo, con la mia recensione di "Variatio 22" di Daniele Groff, vi chiedo di essere indulgenti, perché è come se vi invitassi a mangiare una cosa veloce in un McQualcosa, senza pretese.

"Variatio 22" nasce nel 1998, ma prendiamo come riferimento i 20 anni dal quinto posto ottenuto dal Nostro al Festival di Sanremo del 1999, con il brano "Adesso", incluso nella ristampa dell'album uscita appunto post-Sanremo.

Il disco rappresenta un pezzo unico nel panorama musicale italiano, e per questo è prezioso ed interessante: il primo ed unico tentativo di folle innesto del Brit-Pop nella nostra severa tradizione cantautorale (perdonatemi tutti). Ma cosa troviamo nel menu all-you-can eat di casa Groff?

Si parte con una salsa che copre ogni sapore, sonorità rubate letteralmente da Oasis e Blur, che se all'inizio risultano accattivanti, poi si trasformano in litanie in cui si gioca a riconoscere il brano originale che le ha 'ispirate': si ascoltino "Lamerica" e "Daisy", senza dimenticare l'agghiacciante furto da "Whatever" nel finale di "Dove sei stata".

Si prosegue con una croccante panatura fatta di testi pseudo-surreali ("Da bambino io cercavo un posto nel piano infinito"), lennonsense dagli esiti piuttosto fantozziani ("Daisy, pochi secondi per fare l'amore"), furti con scasso alla canzone italiana ("Perché non andiamo tutti allo zoo comunale"), traduzioni letterali di classici d'Oltremanica ("Vivere per sempre").

Se non siete sazi possiamo finire col milkshake: la voce nasale del Nostro che tenta con sforzi sovraumani di riproporre il Liam del primo periodo, l'utilizzo a sproposito di un fondo orchestrale in crisi di identità, un mixing poco efficace, che forse si sarebbe potuto sistemare nell'edizione deluxe del ventennale, ma che - ahimè - non vedremo mai.

Che dire quindi? Vi ho spiazzato: perché dovreste ascoltare questa roba?

Perché alla fine è un disco pieno di cuore e passione, come lo sono molte opere prime, anche quelle con un'oncia di talento ma tecnicamente approssimative. Ricordo con tristezza l'inizio degli anni 2000, quando il Brit-Pop aveva iniziato la sua parabola discendente. E ricordo con medesimo affetto Daniele Groff, che aveva provato a proseguire in contumacia una festa iniziata solo 10 anni prima, pur essendo trentino, lontano delle ispirazioni di Madchester, e con i suoi poveri, scarsi mezzi.

- Agent Smith

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