(il disco si può trovare in varie forme online, la versione ufficialmente disponibile gratis è qui:https://www.deezer.com/it/
La carriera di John Frusciante è decisamente sbalestrata, come decisamente sbalestrato è tutto il personaggio, guidato com'è da una peculiare filosofia di vita e da mille e mutevoli idiosincrasie.
"The Empyrean" viene pubblicato nel gennaio del 2009, quando i Red Hot Chilli Peppers sono a riposo da quasi due anni dopo lo stress del tour di "Stadium Arcadium" e Frusciante ha ormai deciso che non ritornerà col gruppo al termine della pausa. A sostituirlo ha già preparato l'allievo prediletto Josh Klinghoffer; e si preparano altre strampalate svolte e direzioni inattese nel suo futuro personale e musicale, contraddizioni, giravolte, progetti.
"The Empyrean" è un disco centrale nella produzione di Frusciante: non solo perché è uno dei suoi migliori in assoluto, oltre che stranamente accessibile, di una accessibilità quasi disturbante, ma anche perché in questa vera e propria mini-rock opera egli espone un distillato ideologico del suo imprevedibile modus vivendi.
Al fianco di Frusciante, cantante e chitarrista solista e tastierista, c'è l'allievo-erede Klinghoffer, che si occupa di seconda voce, tastiere e batteria. Un piccolo ma significativo plotone di collaboratori completa il personale al servizio di Frusciante, fra cui in particolare si segnalano l'amico Flea al basso in sei delle dieci tracce dell'album e le ritmiche chitarristiche di Johnny Marr in due.
La storia raccontata da "The Empyrean" è quella di un uomo tormentato, che si rifugia in una solitudine che lo consuma ma ne emerge dopo un suicidio simbolico, rinato e pronto ad affrontare la vita nella sua complessità e senza più dolori esistenziali. Dai testi del disco (con canzoni dai titoli significativi come "God", "Heaven" e "After the Ending") e dalle dichiarazioni di Frusciante sembrerebbe allo stesso tempo che la vita, compresi i conflitti, sia solo un modo per sentirsi uniti al tutto unico che è l'universo e che non esista la morte perché la coscienza (universale? individuale?) non può che proseguire l'esistenza assicurando la continuità dell'essere.
Il tono generale del disco è quello di un rock meditativo ma non dimesso, che si lega a certe meditabonde atmosfere pinkfloydiane filtrate però dal linguaggio chitarristico di un eroe di culto dell'alternative anni '90. Questo stile si coglie appieno già dal pezzo di apertura, lo strumentale "Before the Beginning", nove minuti in cui la chitarra sovrasatura di Frusciante colora con note lunghissime una letargica figura ritmica di Klinghoffer.
"Song to the Siren" è una bellissima cover del capolavoro di Tim Buckley, che si presta perfettamente all'atmosfera dell'album, concludendo quindi la fase introduttiva e lasciandoci al rocker dolceamaro "Unreachable" che apre la storia vera e propria. "God" è un gradevole pezzo di alternative rock in cui la batteria di Klinghoffer appare particolarmente efficace nel supportare le emozioni della canzone sottolineate dai cambi di tono del brano e della voce di John.
"Dark/Light" è una delle meditazioni centrali del disco, in cui l'appassionato canto di Frusciante, pesantemente riverberato, si innalza su un tappeto di piano e organo prima che la canzone si muti in una dolcissima, struggente ballata per voci multiple, tastiere e batteria elettronica degna di Prince, con Frusciante che si esibisce anche al basso a sei corde in una coda un poco troppo lunga.
"Heaven" è un'altra bella ballata con un efficace, semplice Flea al basso e un crescendo da pelle d'oca, che fa da apripista alla liturgia universalista di "Enough of Me": "I speak my last words and then//Remember it may never end" [...] "If the seasons which change were all still//It's so easy to see life would fail//Whatever slips out of our hands//will find its way back to us once again", al termine della quale Frusciante ci strazia con uno dei suoi geniali soli fratturati.
"Central" è una canzone che avremmo voluto sentire cantare da Chris Cornell, un rocker che alterna sezione soft e sezione graffiante che avrebbe potuto sfondare le classifiche quindici anni prima (sempre che avessero arrangiato diversamente il finale, dandoci più chitarra e meno ripetizione ad libitum del ritornello). L'ex-Smiths Johnny Marr suona sia in questo brano che nel precedente.
A concludere l'album stanno così "One more of me", con una delle più riuscite interpretazioni vocali del disco ("Now that the day has come//I see myself as everyone//I am what's all around me//No, nothing it just cannot be" [...] "What seems lost is free from the force//That slowly destroys us//And kills all matter off"), e la rarefatta "After the Ending", in cui Frusciante sfrutta fino in fondo il suo falsetto (Everything is eternal//Nothingness does not exist//No thing has ever become nothing//And nothing has never become something//What is has always been and will always be").
Si arriva veramente a pochi passi dall'usare la parola 'capolavoro' per "The Empyrean"; certo, c'è qualche canzone che beneficerebbe di una scorciata ai finali (come le già citate "Dark/Light", "Central", o il finale orchestrale di "One more of me"), e non c'è nulla di realmente innovativo musicalmente nel disco - però qui l'obiettivo è il messaggio, e l'utilizzo per quanto personale di categorie musicali pre-esistenti è una necessità espressiva, un caso scuola di perfetta adeguatio verbi rei. Così, questa sorta di bizzarro, commovente "Tommy" degli anni zero resta una delle maggiori dichiarazioni musicali di uno dei chitarristi più significativi e influenti degli ultimi trent'anni. Scusate se è poco.
- Prog Fox
Nessun commento:
Posta un commento