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Nel 1979 lo stato della musica nel continente era molto confuso. Il progressive rock era defunto, lasciandosi dietro una scia di musicisti orfani di gruppi, di idee e dotati di enormi talento e capacità destinate all'oblio. Allo stesso tempo, il ruolo della controcultura era sempre più confuso. I gruppi e gli artisti impegnati sorti negli anni Sessanta, protagonisti o figli del Sessantotto, in Italia erano stati scavalcati a sinistra da nuovi cantautori più radicali, apprezzati dai giovani che contestavano il PCI e avevano scavato una vera divisione generazionale che si espresse anche nelle pesanti contestazioni a personaggi come Francesco de Gregori, Fabrizio de André, Francesco Guccini.
Il delirio degli anni di piombo avrebbe prodotto il riflusso e il rifugio nell'individuo degli anni Ottanta, la Milano da bere, il craxismo, il passaggio di tanti da Lotta Continua a Milano 2 e Fininvest. La dissoluzione del movimento del '77, l'assassinio di Moro, furono forse lo spartiacque fra questi due periodi.
In quella fase di transizione che ben altri che non noi dovranno e potranno spiegare, si inserì un inaspettato raccordo musicale fra i protagonisti del progressive in via di dissoluzione e i cantautori della loro generazione, più vecchi dei nuovi radicali come Eugenio Finardi, Gianfranco Manfredi e Alberto Camerini, che si sarebbero presto defilati in ben altre direzioni.
Fedeli a una visione non migliore ma diversa dell'impegno musicale e artistico, nacquero così progetti dei quali fu il capostipite il sempre visionario e profetico Fabrizio de André, che andò in tour con la Premiata Forneria Marconi (anche qui il modello oltreoceano di Bob Dylan con la Band nel 1975-1976 non andrebbe naturalmente dimenticato; ma De André non era il tipo di persona che si vergognava di copiare buone idee, come si vede nelle tante traduzioni effettuate di materiale di Brel, Brassens, Cohen, Dylan). Nelle parole di De André stesso, "ero tormentato da interrogativi sul mio ruolo, sul mio lavoro, sull'assenza di nuove motivazioni. E la PFM mi risolse il problema, dandomi una formidabile spinta verso il futuro. La tournée con loro è stata un'esperienza irripetibile perché si trattava di un gruppo affiatato con una storia importante, che ha modificato il corso della musica italiana. Ecco, un giorno hanno preso tutto questo e l'hanno messo al mio servizio". A questa esperienza sarebbero seguite, tutte svoltesi fra 1978 e 1980, quella di Francesco de Gregori con Lucio Dalla, Ron e gli Stadio, quella di Francesco Guccini con i Nomadi, mentre contemporanea fu quella di Angelo Branduardi, che però aveva un retroterra ideologico e musicale ben diverso, con il Banco del Mutuo Soccorso.
L'amicizia fra De André e la PFM risaliva a quasi un decennio prima: nel 1969, infatti, Mussida, Premoli, e Di Cioccio avevano lavorato a "la Buona Novella", quarto album di Fabrizio. L'idea di una collaborazione giunge una sera nella casa sarda di De André, che ospita la band dopo avere assistito a un loro concerto. Oltre a Fabrizio de André, che canta e suona la chitarra acustica, compaiono quindi come membri della PFM gli storici Franz Di Cioccio alla batteria, Franco Mussida alle chitarre, Flavio Premoli alla tastiera, Patrick Djivas al basso, mentre non ci sono Mauro Pagani e Bernardo Lanzetti, sostituiti da Lucio Fabbri al violino e Roberto Colombo come tastiera aggiuntiva. Dal tour furono tratti due dischi, uno pubblicato nel 1979 che ebbe grande successo, al che si decise di pubblicarne un secondo nel 1980 tratto dalle stesse date, quelle di Bologna e Firenze risalenti al 13-16 gennaio del 1979.
Le canzoni del tour vennero divise sostanzialmente in due gruppi: quelle scritte per l'ultimo album, "Rimini", fuorno mantenute nell'arrangiamento del disco per espressa volontà di De André; per quelle più vecchie fu invece lasciata mano libera alla PFM, che spesso aggiunse introduzioni strumentali e nuove strutture ritmiche.
Se quindi proviamo un brivido a sentire l'esecuzione dal vivo di "Rimini" o "Andrea", la sorpresa sta soprattutto nel sentire "Il Pescatore" tramutato in un folk prog degno dei Jethro Tull, o Djivas che colora "Il testamento di Tito" con il basso fretless, strumento approfondito dopo essere divenuto amico di Jaco Pastorius un paio di anni prima durante un tour in America. Come non ha prezzo sentire "Maria nella bottega di un falegname" e "Il testamento di Tito" unite come un'unica mini-suite nel finale del secondo LP.
Il culmine assoluto dei due dischi rimane la versione definitiva di "Amico fragile", nove minuti di dissanguamento che restano probabilmente, se uno dovesse scegliere UNA canzone e UN arrangiamento, il brano definitivo e più importante della storia della musica italiana degli anni settanta - e forse non solo.
Si sospetta che alcune delle canzoni siano state rimaneggiate in studio nel febbraio del 1979, ma alla fine questo ha una importanza relativa, di fronte al valore assoluto del prodotto e all'influenza e al significato che questo tour ebbe per la musica cantautorile e per il rock italiano.
- Prog Fox
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