Il 5 gennaio di quarant'anni fa usciva "Armed Forces", terzo album dell'artista britannico Elvis Costello e uno dei vertici assoluti della sua carriera.
Il disco della completa maturità di Declan Patrick MacManus, meglio noto come Elvis Costello, arriva in apertura di 1979. "Armed Forces" è un disco di pop geniale, obliquo e nevrotico, parente stretto di quello di XTC e Talking Heads, ma virato fortemente sul lato cantautorile dello spettro musicale. Non significa certo che non ci sia una accurata preparazione dietro: Costello per la prima volta firma il disco a nome Elvis Costello & the Attractions, riconoscendo una identità e una potenza al suo gruppo di supporto, il tastierista Steve Nieve, il bassista Bruce Thomas e il batterista Pete Thomas (non parenti), che avevano iniziato a lavorare con lui nell'estate del 1977.
Il lato A di "Armed Forces" potrebbe essere la sequenza di canzoni maggiormente riuscite della carriera di Costello: "Accidents will happen" (dichiarazione d'intenti dell'album), "Senior Service", "Oliver's Army" (denuncia antimilitarista che implicitamente da il titolo all'album), "Big boys", "Green Shirt" (roba con cui allattare i They might be giants e i Camper van Beethoven) e "Party Girl" sono pezzi frenetici infusi di ironia, la cui energia è apparentemente scanzonata ma in realtà profonda; è con queste canzoni in particolare che Costello porta a preciso compimento la rilettura della figura del cantautore nell'era post punk, un cantautore che è ovviamente un reietto, ma un reietto nerd, intellettuale, imbranato e sgraziato, con la giacca e la cravatta, impiegato di basso livello che sbevacchia nei pub il venerdì e fa una vita insulsa e spaventata ma non ai margini come il sottoproletariato nichilista che adora i Sex Pistols.
Il lato B presenta ancora canzoni spettacolari come la scatenata danza folk punk di "Goon Squad" e l'assurda "Two Little Hitlers". Nella versione americana, "Sunday's Best" viene sostituita da un altro capolavoro di Costello, "Peace, love and understanding".
Con "Armed Forces", qualcosa, soprattutto a livello mentale, è cambiato in Costello, che arriva come sgombro da pensieri e perfettamente lucido, tanto che personalmente riteniamo questo album perfino superiore al già splendido "This year's model". C'è meno retorica e tutto il disco suona più sicuro di sé, forse anche perché la sua backing band ha ormai raggiunto il più completto affiatamento simbiotico con l'autore. Ma, soprattutto, non si vedono più nel prodotto finale le influenze sulla scrittura di Costello (il canto sgraziato di Dylan, il melodismo fifties e i tre accordi punk dei Ramones, la capacità narrativa popolare e operaia di Springsteen e del suo amico e produttore Nick Lowe): la minestra ora viene cucinata da un cuoco molto più sapiente, che sa mescolare gli ingredienti lasciando che il loro tocco originale si percepisca in un piatto più omogeneo.
Elvis Costello tocca così forse il vertice della propria parabola musicale; e mai più ritroverà questa fantasia e questa verve nei dischi successivi; colpa forse di un protagonismo stronzetto che inizia già durante il tour americano dell'album, in cui litiga ubriaco con Bonnie Bramlett e Stephen Stills chiamando James Brown un "jive-assed nigger" e Ray Charles un "blind, ignorant nigger". Questa eccessiva opinione di sé lo porterà a incidere uno ziliardone di album (ben sei nel solo biennio successivo), annacquando rapidamente sia la propria capacità di discernere canzoni buone da canzoni cattive, sia i propri freni inibitori musicali.
Ma questa è un'altra storia.
- Red
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