Nel dicembre di quarant'anni fa vengono completate le incisioni del secondo album di un ventiseienne di belle speranze proveniente dall'Appennino modenese.
Il disco si chiama "Non siamo mica gli americani". Verrà poi ristampato col titolo del suo maggiore successo.
(LP originale disponibile qui:https://www.youtube.com/ playlist?list=PLhXuZD7li2e8 ijJ1AzafkNpK_C1ioSeHl)
Il fatto che questo disco sia stato poi ristampato come “Albachiara” la dice lunga.
Comunque non è che si può ridurre il tutto ad “Albachiara”.
Sì, è vero che il successo di “Albachiara” ha trasformato la carriera del Blascone nazionale, però diciamoci le cose come stanno: c’è un motivo se Vasco Rossi è arrivato a essere quello che è, e questo qualcosa lo è diventato mica per quello che ha scritto dopo il 1993. Il Blasco lo è diventato per quella sequenza di dischi che a partire da questo lo ha portato fino a “Bollicine”, “Una canzone per te” e “Vita Spericolata” su “Bollicine”, appunto, nel 1983, dopo il quale fu solo consolidamento ma non ci fu più immaginazione.
Qui invece l’immaginazione c’è. La controcultura post-77 è ancora presente in “Faccio il militare”, che rievoca l’infinita noia della leva (anticipando “Prima Guardia” dei Litfiba e seguendo “Il barbiere” degli Stormy Six); la canzone d’amore italiana dei Baglioni e dei Pooh viene superata da pezzi molto più carnali e allo stesso tempo dotati di un sanguigno romanticismo come “Io non so più cosa fare” e soprattutto “Albachiara”, illuminata da un riff anthemico di Maurizio Solieri e sicuramente canzone simbolo del disco assieme all’altro capolavoro “Fegato, fegato spappolato”.
Il bere non è roba da ridere, è malessere esistenziale, amore tossico della vita di provincia. Il sesso non è roba da fotoromanzo o romanzetto harmony, è sesso e basta. Lo stesso che fa immaginare “La strega”, la diva del sabato sera delle discoteche, verso cui però il Vascone ha anche un po’ di soggezione e ammirazione.
Per finire poi abbiamo “Va be’ (se proprio te lo devo dire)”, in cui fa a fette l’idea di rapporto monogamo e romantico su una basculante base di sarcasmo musicale, nel solco della “Ambarabaciccicoccò” del disco d’esordio.
Ottima la band al servizio del Blasco: oltre al grande Maurizio Solieri alle chitarre segnaliamo soprattutto Gaetano Curreri e Giovanni Pezzoli, futuri Stadio, rispettivamente a tastiere e batteria, il bassista Gian Emilio Tassoni (splendido il suo lavoro in "Albachiara" e "15 anni fa") e il fedelissimo Rudy Trevisi ai fiati.
Accelerata la propria liberazione dagli stilemi della canzone d’autore degli anni ’70, Vasco rimescola un po’ con la canzone pop italiana alla ricerca di un proprio linguaggio. Lo troverà completamente nei due dischi successivi, i migliori della sua produzione, “Colpa d’Alfredo” e “Siamo solo noi”.
Ma questa è un’altra storia.
- Red
Il fatto che questo disco sia stato poi ristampato come “Albachiara” la dice lunga.
Comunque non è che si può ridurre il tutto ad “Albachiara”.
Sì, è vero che il successo di “Albachiara” ha trasformato la carriera del Blascone nazionale, però diciamoci le cose come stanno: c’è un motivo se Vasco Rossi è arrivato a essere quello che è, e questo qualcosa lo è diventato mica per quello che ha scritto dopo il 1993. Il Blasco lo è diventato per quella sequenza di dischi che a partire da questo lo ha portato fino a “Bollicine”, “Una canzone per te” e “Vita Spericolata” su “Bollicine”, appunto, nel 1983, dopo il quale fu solo consolidamento ma non ci fu più immaginazione.
Qui invece l’immaginazione c’è. La controcultura post-77 è ancora presente in “Faccio il militare”, che rievoca l’infinita noia della leva (anticipando “Prima Guardia” dei Litfiba e seguendo “Il barbiere” degli Stormy Six); la canzone d’amore italiana dei Baglioni e dei Pooh viene superata da pezzi molto più carnali e allo stesso tempo dotati di un sanguigno romanticismo come “Io non so più cosa fare” e soprattutto “Albachiara”, illuminata da un riff anthemico di Maurizio Solieri e sicuramente canzone simbolo del disco assieme all’altro capolavoro “Fegato, fegato spappolato”.
Il bere non è roba da ridere, è malessere esistenziale, amore tossico della vita di provincia. Il sesso non è roba da fotoromanzo o romanzetto harmony, è sesso e basta. Lo stesso che fa immaginare “La strega”, la diva del sabato sera delle discoteche, verso cui però il Vascone ha anche un po’ di soggezione e ammirazione.
Per finire poi abbiamo “Va be’ (se proprio te lo devo dire)”, in cui fa a fette l’idea di rapporto monogamo e romantico su una basculante base di sarcasmo musicale, nel solco della “Ambarabaciccicoccò” del disco d’esordio.
Ottima la band al servizio del Blasco: oltre al grande Maurizio Solieri alle chitarre segnaliamo soprattutto Gaetano Curreri e Giovanni Pezzoli, futuri Stadio, rispettivamente a tastiere e batteria, il bassista Gian Emilio Tassoni (splendido il suo lavoro in "Albachiara" e "15 anni fa") e il fedelissimo Rudy Trevisi ai fiati.
Accelerata la propria liberazione dagli stilemi della canzone d’autore degli anni ’70, Vasco rimescola un po’ con la canzone pop italiana alla ricerca di un proprio linguaggio. Lo troverà completamente nei due dischi successivi, i migliori della sua produzione, “Colpa d’Alfredo” e “Siamo solo noi”.
Ma questa è un’altra storia.
- Red
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