lunedì 17 dicembre 2018

Ulver: "Themes from William Blake's Marriage of Heaven and Hell" (1998)

Il 17 dicembre di vent'anni fa viene pubblicato "Themes from William Blake's The Marriage of Heaven and Hell", quarto album in studio dei norvegesi Ulver e probabilmente magnum opus della loro intera carriera.
Il progetto di Kristoffer Rygg, all'epoca ancora cantante degli Arcturus, porta a compimento la parabola della band, iniziata come black metal progressivo e divenuta qui una onnicomprensiva macchina di epos nero, liturgico e trascendente - cosa che gli alienò la simpatia della comunità black tradizionalista, aprendo però allo stupore del mondo musicale più aperto di vedute.



(disco completo a disposizione qui:https://www.youtube.com/playlist?list=PLiN-7mukU_RFdCQsJeRxAasqab3cGugdY)

Il capolavoro assoluto dell'opera degli Ulver, e quindi di fatto della coppia Kristoffer Rygg-Tore Ylwizaker (il primo cantante, il secondo programmatore, insieme dal 1998 a oggi) rimane a distanza di vent'anni il meraviglioso "Themes from William Blake's The Marriage of Heaven and Hell". A fianco dei due leader sono, per l'ultima volta come membri a pieno titolo della formazione, il chitarrista Håvard Jørgensen, il bassista Skoll (alias Hugh Steven James Mingay) e il batterista AiwarikiaR (Erik Olivier Lancelot).

Come si può facilmente intuire dal titolo, il disco non è che la messa in musica - nella sua interezza - de "Il Matrimonio del Cielo e dell'Inferno", da molti considerato il vertice artistico come scrittore dell'autore e pittore inglese William Blake (1757+1827).

Le passioni esoteriche di Rygg trovano in questo libro, comprato in un famoso negozio di articoli spirituali durante un viaggio a Londra con Ihsahn degli Emperor, un supporto alla sua ricerca musicale: il cantante norvegese provava sia nei testi sia nelle musiche a trovare una via d'uscita dall'angolo black satanico in cui una parte del movimento si era confinata. Le meditazioni sincretiste e rivoluzionarie del Blake trentenne che scrive entusiasta in seguito alle rivoluzioni americana e francese rappresentano il fondamento spirituale che accompagna il suo abbandono del black metal - pur se sperimentale - dei dischi precedenti per una musica di respiro molto più ampio ma non per questo meno notturna, fatale e tetragona.

Il disco spazia dal sembrare una versione più elettronica di Arcturus e Burzum ("The Argument - Plate 2", che apre il disco) a momenti di prog metal moderno e astratto ("The Voice of Devil - Plate 4"), con una capacità di variare e mescolare influenze diverse - anche all'interno dello stesso brano - che lascia sbalorditi: si pensi alla chitarra acustica arpeggiata disturbata da voci ed elettronica di "Plates 5-6", che sembra essere tratto da un disco dei Blind Guardian o dei Pain of Salvation, oppure a "A Memorable Fancy, Plates 6-7" e "A Memorable Fancy Plates 12-13", che non hanno niente da invidiare a Nine Inch Nails o Marilyn Manson. Però coi testi di Blake.

Particolarmente riusciti sono le devastante saghe multiformi di "Proverbs of Hell - Plates 7-10" (nove minuti) e "A Memorable Fancy - Plates 17-20" (undici minuti), e la strepitosa "Plates 21-22". Nella prima parte del disco compare in maniera prominente la cantante Stine Grytøyr, mentre in "A Song of Liberty - Plates 25-27" si dividono le liriche tre mostri sacri della scena black metal norvegese, Samoth (Tomas Haugen degli Emperor), il già citatoIhsahn -Official- (Vegard Sverre Tveitan) e Fenriz (Gylve Fenris Nagell, dei Darkthrone).

Quest'ultimo pezzo conclude l'album con un altro trionfo oscuro, prima di lasciare campo a una ventina di minuti di silenzio e poi a una sequenza elettrica di poche decine di secondi piuttosto superflua, che costringe peraltro l'acquirente a sobbarcarsi il peso di due cd, quando uno sarebbe bastato per includere tutta la musica del disco.

Dai tradizionalisti del true norwegian black metal, questo album fu considerato un totale tradimento, anche se nessuno poteva certo chiamarlo un compromesso o un cedimento al commerciale, dato che la musica resta elaborata e ben al di fuori di quello che si può chiamare mainstream.

Per tutti gli altri, i metallari dal cuore puro e dalla mente aperta, il quarto album degli Ulver resterà sempre il loro capolavoro assoluto e uno dei momenti più magici di un momento davvero magico per la scena metal, quella fine degli anni novanta in cui, tramontata la stella dei grandi gruppi thrash, l'avanguardia metal (Ulver, Arcturus) e le nuove leve del prog metal (Opeth, Pain of Salvation) e dell'epic metal (Blind Guardian), nonché le vie di mezzo dominate dalle nuove voci femminili (Nightwish, The Gathering, In the woods, Within Temptation) lasciavano le loro impronte più significative.

- Prog Fox

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