Nel novembre di cinquant'anni fa veniva pubblicato "The Marble Index", capolavoro assoluto della carriera della cantante e autrice tedesca Nico.
La ex-Velvet Underground si riunisce qui all'amico John Cale per realizzare un disco di terrificante, abbagliante, potente, oscura bellezza.
(LP originale più due bonus track qui:https://www.youtube.com/ playlist?list=OLAK5uy_k0slD LHMvfGdteJAwEdiZrh_IxnJVVD uo)
Nico era una nibelunga che faceva paura.
Già con i Velvet Underground, i suoi toni da femme fatale (gioco di parole voluto!) avevano schiantato cuori di eroinomani newyorchesi, hippie tristi e intellettuali con la sigaretta penzolante dalla bocca. Abbandonato il progetto con Andy Warhol, col suo primo album solista “Chelsea Morning” ha esperienze insoddisfacenti perché glielo riarrangiano tutto facendo un po’ un macello. La cosa, poverina, la fa piangere di rabbia ogni volta che lo riascolta. Per l’album dopo decide quindi che deve affidarsi a qualcuno degno di fiducia.
Il qualcuno è rappresentato dall’amico John Cale, fatto fuori dai Velvet dal maligno Lou Reed. A convincere la casa discografica è il produttore Frazier Mohawk, che le porta Cale e gli fornisce tutto il supporto necessario in studio, oltre ad assistere ai continui litigi fra John Cale e la cantautrice, che vuole mettere il suo cazzo di harmonium scordato in tutte le canzoni, creando notevoli difficoltà al musicista gallese.
Cale e Nico passano il tempo a farsi di eroina, registrare le cupissime canzoni di Nico e poi mettere le sovraincisioni necessarie. Mohawk seleziona le otto canzoni fra le dodici che hanno registrato, per realizzare l'LP originale, che dura appena 30 minuti, poi ne sceglie l’ordine e le missa. Secondo quel cazzaro buontempone di Cale, fu Mohawk a decidere così perché quello era la massima quantità di Nico che lui (e qualunque altro ascoltatore) poteva sopportare prima di ammazzarsi.
Sempre secondo Cale, quando Cale e Mohawk fanno sentire il disco finito a Nico, Nico piange di gioia a sentire quanto è bello. Bello è bello – è anche terrorizzante, cantato in toni espressionisti che, pur nella solennità e nel distacco teutonico della cantante, generano una atmosfera straniante e oppressiva.
Il disco ha una unitarietà stilistica perfetta e anticipa di decenni artisti come i Dead Can Dance e altri gruppi di dark ambient, oltre a influenzare più in generale artisti post-punk, goth e dark come Bauhaus, Cure, Joy Division, e cantanti come Bjork.
Tra le cose migliori ci sono “Ari’s Song”, che deve essere una delle canzoni più deprimenti mai dedicate a un figlio, “Julius Caesar”, in cui l’uso minimalista e ossessivo della viola dona una qualità ultraterrena a una canzone già decadente e disturbante di suo, e la strepitosa “Frozen Warnings”. Concordiamo con quanto detto dal grande Lester Bangs: “il più grande pezzo di avanguardia classica […] della seconda metà del XX secolo”, ma anche “self-torture” che lo terrificava a morte (“scared the shit out of me”).
La carriera di Nico continuerà su questa falsariga l’anno successivo con “Desertshore”, ancora realizzato con l’aiuto di John Cale. Ma questa è un’altra storia.
- Red
Nico era una nibelunga che faceva paura.
Già con i Velvet Underground, i suoi toni da femme fatale (gioco di parole voluto!) avevano schiantato cuori di eroinomani newyorchesi, hippie tristi e intellettuali con la sigaretta penzolante dalla bocca. Abbandonato il progetto con Andy Warhol, col suo primo album solista “Chelsea Morning” ha esperienze insoddisfacenti perché glielo riarrangiano tutto facendo un po’ un macello. La cosa, poverina, la fa piangere di rabbia ogni volta che lo riascolta. Per l’album dopo decide quindi che deve affidarsi a qualcuno degno di fiducia.
Il qualcuno è rappresentato dall’amico John Cale, fatto fuori dai Velvet dal maligno Lou Reed. A convincere la casa discografica è il produttore Frazier Mohawk, che le porta Cale e gli fornisce tutto il supporto necessario in studio, oltre ad assistere ai continui litigi fra John Cale e la cantautrice, che vuole mettere il suo cazzo di harmonium scordato in tutte le canzoni, creando notevoli difficoltà al musicista gallese.
Cale e Nico passano il tempo a farsi di eroina, registrare le cupissime canzoni di Nico e poi mettere le sovraincisioni necessarie. Mohawk seleziona le otto canzoni fra le dodici che hanno registrato, per realizzare l'LP originale, che dura appena 30 minuti, poi ne sceglie l’ordine e le missa. Secondo quel cazzaro buontempone di Cale, fu Mohawk a decidere così perché quello era la massima quantità di Nico che lui (e qualunque altro ascoltatore) poteva sopportare prima di ammazzarsi.
Sempre secondo Cale, quando Cale e Mohawk fanno sentire il disco finito a Nico, Nico piange di gioia a sentire quanto è bello. Bello è bello – è anche terrorizzante, cantato in toni espressionisti che, pur nella solennità e nel distacco teutonico della cantante, generano una atmosfera straniante e oppressiva.
Il disco ha una unitarietà stilistica perfetta e anticipa di decenni artisti come i Dead Can Dance e altri gruppi di dark ambient, oltre a influenzare più in generale artisti post-punk, goth e dark come Bauhaus, Cure, Joy Division, e cantanti come Bjork.
Tra le cose migliori ci sono “Ari’s Song”, che deve essere una delle canzoni più deprimenti mai dedicate a un figlio, “Julius Caesar”, in cui l’uso minimalista e ossessivo della viola dona una qualità ultraterrena a una canzone già decadente e disturbante di suo, e la strepitosa “Frozen Warnings”. Concordiamo con quanto detto dal grande Lester Bangs: “il più grande pezzo di avanguardia classica […] della seconda metà del XX secolo”, ma anche “self-torture” che lo terrificava a morte (“scared the shit out of me”).
La carriera di Nico continuerà su questa falsariga l’anno successivo con “Desertshore”, ancora realizzato con l’aiuto di John Cale. Ma questa è un’altra storia.
- Red
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