"Love Beach" veniva pubblicato il 18 novembre di quarant'anni fa. Ultimo disco in studio di Emerson, Lake & Palmer prima dello scioglimento l'anno successivo, "Love Beach" è universalmente considerato alle prime posizioni fra i dischi più *brutti* della storia del rock. Per motivi che hanno molto più a che fare con il clima culturale punk e post-punk e con la terribile copertina da stelle della disco music che non per il contenuto in sé e per sé.
La fama di "Love Beach" come di uno degli album più brutti della storia del rock nasce dagli infami scatti di copertina che portarono a quell'orrore che potete vedere qui a fianco (o qui sopra, o qui sotto, insomma, ad accompagnare questa recensione): tre nerboruti trentenni milionari, pieni di dischi d'oro e di successo, alle Bahamas nella villa di uno di loro.
Emerson, Lake & Palmer avevano avuto successo anni prima presso una generazione che a fine settanta si stava normalizzando, quella degli hippie e dei baby-boomers. La loro musica, come quella di molti gruppi prog, era troppo complessa e arzigogolata per durare, rimpiazzata dalle hit di classifica di chi aveva virato su musica più orecchiabile, in particolare i californiani alla Eagles, Crosby, Stills & Nash, e così via. E il prog duro e puro non aveva nessuna presa sui giovani, che inseguivano il punk, la disco, o commistioni più o meno artistiche che andavano sotto l'ombrello post-punk della new wave.
Il destino dei tre giovanotti inglesi era segnato: dinosauri di un'era passata, avrebbero dovuto genesizzarsi, morire o rinchiudersi in una dorata prigione cult. Scelsero la seconda strada, come molte delle maggiori band dell'epoca prog - Gentle Giant, Van der Graaf Generator, Caravan, Soft Machine.
Prima di sciogliersi, però, Keith Emerson (tastiere), Greg Lake (voce, basso) e Carl Palmer (batteria) dovevano completare un ultimo album da contratto. L'atmosfera non era buona: obbligati a incidere un disco, i tre già non si sopportavano più da un pezzo, e i due album precedenti, "Works I" e "Works II", erano stati un esperimento confuso anche se non privo di interesse.
"Love Beach" prosegue in un certo senso lungo quella linea, con un peggioramento della crisi creativa di Greg Lake. I tre si ritrovano nelle Bahamas, a Nassau, dove Keith Emerson possiede una villa vicina a uno studio di registrazione, ma nessuno è contento o ha interesse nel progetto - soprattutto Greg, un tempo punto di forza con le sue composizioni e curatore del suono e della produzione dei dischi. Questa volta Greg non ha voglia: quando finisce di incidere le sue parti, se ne torna in Inghilterra, così come fa Palmer, e tutta la post-produzione e il missaggio rimangono sulle spalle di Emerson.
Lake non fa la propria parte, confezionando un gruppetto di canzoni scialbe, con testi frettolosi scritti da Pete Sinfield, spedito in aereo a Nassau ad aiutarli. Sinfield non ha voglia manco lui: affiancato dalla Miss Spagna regnante, scrive roba veramente priva di ispirazione come il testo che da il titolo all'album, facendo piangere chi ricorda cosette come "I talk to the wind", "21st century schizoid man" o anche le più recenti "I believe in Father Christmas" e "Pirates".
Delle canzoni di Lake si salvano solo la struggente, romantica eppure sorprendentemente vitale "All I want is you" e la musica di "Love Beach", nonostante il testo agghiacciante. Le canzoni successive non sono tanto brutte quanto profondamente anonime e sottoarrangiate, con "The Gambler" lievemente migliore delle altre, nel suo tentativo di ripercorrere il prog umoristico di una "Benny the Bouncer", e almeno Palmer costruisce una interessante figura ritmica.
Il pezzo migliore secondo i proghead sarebbe "Canario", l'immancabile rilettura classica, stavolta di un estratto da un concerto per chitarra classica di Joaquìn Rodrigo, ma si tratta solo di un onesto lavoro di maniera.
Molto meglio fa la suite che occupa l'intero lato B dell'album, ovvero "Memoirs of an Officer and a Gentleman". Di questa composizione c'è poco di negativo da dire: articolate le liriche, che ricordano in positivo un po' l'atmosfera di certi polpettoni di guerra, nel raccontare la vicenda romantica di un ufficiale della seconda guerra mondiale; interessante la musica, che a tratti raggiunge vette non indifferenti, con la voce di Lake forse in forma smagliante per l'ultima volta nella sua carriera.
Come si è detto, la critica fece a pezzi l'album, probabilmente senza averlo neanche ascoltato, basandosi solo sul nome e sulle foto della copertina. Inoltre, i proghead, filosoficamente molto simili ai metallari, hanno la tendenza a selezionare alcuni album che è lecito 'odiare' nel catalogo delle loro band preferite, da utilizzare anche come vessillo da sbandierare per difendere la loro 'obiettività'. "Love Beach", così come "Civilian" dei Gentle Giant nel 1980 o "Under Wraps" dei Jethro Tull nel 1984, o altri, non è certo disco impeccabile, ma con il solo lato B è meglio della grande maggioranza di paccottiglia commerciale buttata fuori sia allora sia oggi, col beneplacito della critica che perdona tutto a chiunque raggiunga le prime posizioni in classifica, financo riabilitando certi polpettoni sanremesi o improbabili artisti indie e trap italiani.
Non ci vergogniamo quindi nel difendere la dignità di un disco che ha segnato la fine della parte più gloriosa della carriera di tre grandissimi musicisti. Il futuro sarebbe stato più o meno felice, soprattutto per Emerson con le sue colonne sonore e Palmer con gli Asia; numerosi i tentativi di reunion, abbastanza discutibili. Un grazie comunque ce lo sentiamo di dirlo con tutto il cuore, specie a Greg e Keith, che ci hanno tragicamente lasciato nel 2016.
- Prog Fox
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