mercoledì 21 novembre 2018

Alice Cooper: "From the inside" (1978)

I dati in nostro possesso divergono: c'è chi dice che sia stato pubblicato il 17 e chi il 21 novembre di quarant'anni fa, ma quello che conta è che "From the inside" è l'ennesimo buon disco di Alice Cooper.

(tutto l'album si può ascoltare qua:https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_m7HI4gTJpd6MB0iYsOz63emM-Q5kVCA0M)

Per il suo disco del 1978, “From the inside”, a fianco del solito Dick Wagner alla sei corde, Alice arruola Davey Johnstone e Dee Murray a chitarra e basso rispettivamente, e Bernie Taupin per aiutarlo a scrivere i testi, tutti e tre freschi freschi di divorzio musicale da Elton John, cosa che contribuisce a rendere il suono di Alice più raffinato e meno viscerale e surreale.

I temi restano però quelli cupi di sempre, in particolare focalizzandosi sull'alcolismo del leader e sulle sue esperienze in una clinica di disintossicazione. Si tratta però di una disintossicazione non molto riuscita, visto che Alice posa momentaneamente la bottiglia solo per diventare un cocainomane talmente malato da dimenticarsi quasi interamente il periodo 1980-1983.

Qui comunque è in un breve periodo di pausa dai vizi, e la musica non ne risente. Con vaghi accenni di disco music (“From the inside”) e power ballad (“Wish I were born in Beverly Hills”) sparse nell’album, Alice è meno putrido e sessuomane-necrofilo del solito, anche se forse più inquietante perché i temi per una volta non sono cazzate pirotecniche e provocatorie ma la sua reale sofferenza, come in “Quiet Room” e “Nurse Rozetta” (questo uno dei momenti migliori del disco, composto con Steve Lukather e inciso con buona metà dei Toto). L’enorme talento di hard rock melodico – e l’influenza gargantuesca di Cooper sull’hard rock anni ’80 – si sente invece in canzoni come la favolosa “Serious” (anche qui zampino di Lukather) e la sbracata “For Veronica’s sake”, che sembra una roba tipo Meat Loaf.

La presenza di tanti amiconi di Elton John rende Alice più malinconico e melodico del solito in ballatone come la discreta “How you gonna see me now” e la buona “Jackknife Johnny”, piene di coretti angelici. Piacevole anche il duetto “Millie and Billie” con Marcy Levy, la seconda voce di Eric Clapton dell’epoca. Le lepidezze orchestrali, più o meno riuscite quando le provò con Ezrin in dischi precedenti, qui abbondano soprattutto nella barocca conclusione di “Inmates (we’re all crazy)”, roba da rock musical con un certo valore catartico.

“From the inside” non è un capolavoro ma è un disco più che buono che soprattutto conferma le capacità di Alice di tirare fuori musica di valore da qualsiasi stronzata che egli commette nella sua vita.

- Red

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