(potete trovare l'album completo qua:https://www.youtube.com/ playlist?list=OLAK5uy_ke8e- 8t94OQ55uMytfQ5g3y99AoU21C Sc)
Il 24 ottobre di dieci anni fa usciva "Conclusion of an Age", interessante debutto degli inglesi Sylosis. La formula che propone la band non è nulla di così originale, una solida base di thrash old e new style, una fusione di bay arena e ibrido thrash/death swedish alla Soilwork per intenderci, con succulente influenze classiche e goteborghiane.
Perno del gruppo originario della terra d’Albione è il fenomenale chitarrista e leader Josh Middleton, attorno al cui smisurato talento e gusto melodico ruota l’intero processo compositivo. Ogni brano è ben strutturato da una sezione ritmica corposa, e chirurgica, ogni brano è legato al filo conduttore comune dell’album, ossia la disfatta della civilizzazione umana, sconfitta dal proprio processo evolutivo il cui risultato si è rivelato nocivo per l’equilibrio della vita terrestre, l’autodistruzione dell’uomo dettata da guerre, avidità, fanatismo religioso e noncuranza dei danni apportati al pianeta, e da qui la conseguente rinascita e il ritorno alle origini della terra.
La quieta intro "Desolate Seas" è solamente la calma prima della tempesta, in apertura troviamo la schiacciamacigni "After Lifeless Years" rappresenta in pieno quello che è lo stile adottato dal gruppo britannico, un connubio di pesante thrash, riff a incastro affilati come lame, un preciso e chirurgico drumming con frequenti accelerate condite della doppia cassa del buon batterista Rob Callard, il tutto combinato a un personale approccio melodico evocativo dall’umore dolente e austero, il cantante Jamie Graham alterna laceranti growl soffocati a strofe e refrain in clean vocal, come anche nel caso di "Trascendence", pezzo che poco si discosta dall’opener, e dove vengono palesate le influenze degli In Flames dei nineties. I meravigliosi assoli di Middleton contribuiscono a rendere il piatto davvero succulento.
L’apice delle impressionanti doti di Middleton viene raggiunto con l’epica "Last Remaining Light", il pezzo più lungo dell’album, dove il chitarrista britannico si impegna a eseguire una serie di assoli straordinari, per tecnica esecutiva e capacità di scrittura. Pezzo clamoroso.
Composizioni come "Teras", "Stained Humanity" e "Reflections Through Fire" sono rocciose cannonate cariche di groove, che strizzano l’occhio al migliore metalcore americano in voga in quegli anni, e che ormai aveva intrapreso la propria parabola discendente.
Un esordio convincente e senza sbavature il cui merito va in gran parte al proprio leader, capace di trasformare in oro tutto quello che esce dalle sue dita e dalle sue sei corde.
Ovviamente bisogna anche valutare che si tratta di una proposta certamente derivativa, a tratti prevedibile e che non inventa nulla di nuovo, nonostante ciò assolutamente godibile per gli appassionati del genere.
- Supergiovane
Il 24 ottobre di dieci anni fa usciva "Conclusion of an Age", interessante debutto degli inglesi Sylosis. La formula che propone la band non è nulla di così originale, una solida base di thrash old e new style, una fusione di bay arena e ibrido thrash/death swedish alla Soilwork per intenderci, con succulente influenze classiche e goteborghiane.
Perno del gruppo originario della terra d’Albione è il fenomenale chitarrista e leader Josh Middleton, attorno al cui smisurato talento e gusto melodico ruota l’intero processo compositivo. Ogni brano è ben strutturato da una sezione ritmica corposa, e chirurgica, ogni brano è legato al filo conduttore comune dell’album, ossia la disfatta della civilizzazione umana, sconfitta dal proprio processo evolutivo il cui risultato si è rivelato nocivo per l’equilibrio della vita terrestre, l’autodistruzione dell’uomo dettata da guerre, avidità, fanatismo religioso e noncuranza dei danni apportati al pianeta, e da qui la conseguente rinascita e il ritorno alle origini della terra.
La quieta intro "Desolate Seas" è solamente la calma prima della tempesta, in apertura troviamo la schiacciamacigni "After Lifeless Years" rappresenta in pieno quello che è lo stile adottato dal gruppo britannico, un connubio di pesante thrash, riff a incastro affilati come lame, un preciso e chirurgico drumming con frequenti accelerate condite della doppia cassa del buon batterista Rob Callard, il tutto combinato a un personale approccio melodico evocativo dall’umore dolente e austero, il cantante Jamie Graham alterna laceranti growl soffocati a strofe e refrain in clean vocal, come anche nel caso di "Trascendence", pezzo che poco si discosta dall’opener, e dove vengono palesate le influenze degli In Flames dei nineties. I meravigliosi assoli di Middleton contribuiscono a rendere il piatto davvero succulento.
L’apice delle impressionanti doti di Middleton viene raggiunto con l’epica "Last Remaining Light", il pezzo più lungo dell’album, dove il chitarrista britannico si impegna a eseguire una serie di assoli straordinari, per tecnica esecutiva e capacità di scrittura. Pezzo clamoroso.
Composizioni come "Teras", "Stained Humanity" e "Reflections Through Fire" sono rocciose cannonate cariche di groove, che strizzano l’occhio al migliore metalcore americano in voga in quegli anni, e che ormai aveva intrapreso la propria parabola discendente.
Un esordio convincente e senza sbavature il cui merito va in gran parte al proprio leader, capace di trasformare in oro tutto quello che esce dalle sue dita e dalle sue sei corde.
Ovviamente bisogna anche valutare che si tratta di una proposta certamente derivativa, a tratti prevedibile e che non inventa nulla di nuovo, nonostante ciò assolutamente godibile per gli appassionati del genere.
- Supergiovane
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