mercoledì 31 ottobre 2018

Soundgarden: "UltramegaOK" (1988)

Il 31 ottobre di trent'anni fa usciva "UltramegaOK", esordio sulla lunga distanza dei Soundgarden. Una delle più grandi band dell'era grunge sforna un disco più che discreto, ancora di transizione, fortemente influenzato dal suono stoner e dai Black Sabbath.

(disco completo qui)

Il giorno di Halloween di trent'anni fa usciva dopo un paio di interessanti mini il primo full lenght dei Soundgarden, intitolato "Ultramega OK".

In un’epoca dove andavano di moda folte chiome cotonate, camicie bianche sbottonate, jeans attillati, sonorità patinate, melodie smielate piuttosto che camicie di flanella, bermuda e anfibi indossati con calzini bianchi di cotone, usciva il primo album di un gruppo grunge, quando ancora il grunge non esisteva. Non esisteva nemmeno nella mente dei Soundgarden, forse se non ci fosse stato il boom nel ’90, se non fossero mai esistiti i Nirvana, Pearl Jam, Alice in Chains e Stone Temple Pilots, i Soundgarden sarebbero ricordati come gruppo stoner, o psychedelic rock.

La loro proposta musicale degli esordi era un concentrato di una miriade di influenze, la psichedelia dei Doors, l’irruenza degli Stooges, il rock blueseggiante dei Led Zeppelin, l’hard rock doomeggiante dei Black Sabbath. Se cercate l’essenza del grunge, non la troverete di certo qui.

I Soundgarden di trent'anni fa erano già assemblati nella loro forma (quasi) classica: Chris Cornell alla voce, Kim Thayil alla chitarra, Matt Cameron alla batteria, mentre al basso troviamo ancora Hiro Yamamoto, ottimo bassista e co-fondatore del gruppo che l’anno seguente abbandonerà venendo rimpiazzato da Ben Shepard.

"Ultramega OK" a livello qualitativo segna un deciso progresso rispetto ai due mini "Screaming Life" e "Fopp" che l’hanno preceduto, certo, il gruppo è ancora nella fase 'dobbiamo decidere cosa fare da grandi', suona ancora acerbo, disomogeneo, talvolta inconcludente, ma le doti individuali di Cornell e l’estroso gusto chitarristico di Thayil meritavano già tutte le attenzioni possibili.

Cornell era dotato di un’ugola fenomenale, doveva ancora capire come usarla al meglio, sembrava lui il membro più estraniato del gruppo, cercava spesso il virtuosismo vocale facendo vibrare in funamboliche evoluzioni le proprie corde vocali e lanciandosi in stralunati vocalizzi volti a raggiungere le vette più alte delle sue quattro ottave, il suo difetto risiedeva nel fatto di non essere propenso a costruire linee vocali adeguate alla sezione ritmica che il gruppo gli tesseva sotto, questo aspetto era ancora sotto rodaggio. Ma tranquilli, ci vorranno solo tre annetti, giusto il tempo di arrivare a "Badmotorfinger", perché Cornell corregga non solo i suoi difetti creativi ma diventi pure un autore di prim’ordine.

Autentica gemma dell’album è "Beyond the Wheel", pezzo in slow motion che trasuda tenebrosa indole sabbathiana da ogni poro e che sembra provenire direttamente dagli anni '70, non sfigurerebbe affatto su un album di Ozzy e compagni, o anche in un "Born Again", e in effetti in questo pezzo Cornell pare proprio essere ispirato dall’eccentrica teatralità di Ozzy unendola all’estensione vocale e agli scream di Ian Gillan, qua la sua estensione vocale viaggia su vette siderali.

Il pezzo si trova in mezzo a due brevi intermezzi intitolati "665" e "667", al gruppo piaceva prendersi gioco dei bigotti benpensanti e delle loro solite critiche e accuse di satanismo rivolte a gruppi rock, provate ad ascoltare le parole, se siete alla ricerca di messaggi subliminali, beh, vi risparmiamo la fatica di cercarli e vi diciamo subito che si, qua sono presenti. Solo che non si rivolgono a sua maestà Satana ma bensì a Babbo Natale. Che cari buontemponi erano questi Soundgarden.

"Incessant Mace", posta in chiusura, è un bel mix di stoner e anni ’70 dove Black Sabbath e Led Zeppelin vanno a braccetto, cadenzata e ipnotica. Sicuramente molto valida anche l’opener "Flower", pezzo ultramegarockeggiante dotato di un piacevole groove, merito del riff portante stoppato tanto elementare quanto efficace. Semplice e immediata la seguente "All Your Lies", composizione da concerto in possesso di un buon tiro.

In "Smokestack Lightning" assaporiamo la vena più blues della band, dove Thayil si mette bene in evidenza, mentre pezzi quali "Circle of Power" e "Head Injury" mostrano il lato più grezzo e esuberante dei Soundgarden degli esordi, influenzati anche dal punk più corrosivo.

All’epoca Cornell e soci furono molto insoddisfatti del lavoro in studio del producer Frew Canulette, colpevole di non aver saputo conferire alle chitarre il giusto spessore e di non aver pompato i suoni a dovere, complice anche un pessimo mastering, per cui segnaliamo che lo scorso anno dopo che il gruppo è finalmente riuscito a ottenere i diritti sui master originali è uscita una nuova edizione interamente rimasterizzata del disco, dove se non altro viene aggiunta parte di quella potenza smorzata ai tempi in studio.

Resta un esordio discreto, interessante per capire dove il gruppo piantò le proprie radici, non certo il loro apice, non certo i Soungarden che abbiamo imparato ad adorare.

E se per caso vi servisse un consiglio su come comporre la vostra personale colonna sonora a tema per Halloween, inserite nella tracklist "Beyond the Wheel", non ve ne pentirete.

- Supergiovane

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