giovedì 18 ottobre 2018

Sonic Youth: "Daydream Nation" (1988)

Trent'anni fa oggi usciva "Daydream Nation", capolavoro degli americani Sonic Youth e uno dei massimi album della scena alternativa americana degli anni ottanta.

 

(il doppio album completo si può ascoltare qui: https://www.youtube.com/playlist…)

Il capolavoro dei Sonic Youth arriva dopo anni di progressi musicali: passata la fase rumore fino a se stesso già con “Evol”, i chitarristi Thurston Moore e Lee Ranaldo, la bassista Kim Gordon e il batterista Steve Shelley si infilano in uno studio professionale e completano la loro maturazione con “Daydream Nation”, ultimo disco indie della loro carriera prima di diventare pro e firmare per le major.

L’album, doppio, è un capolavoro del noise rock e sarà pietra angolare e di paragone per tutti i gruppi successivi del genere e dintorni: si sentono chiaramente già canzoni, album, frammenti pulsanti e vitali, sangue e impulsi nervosi di band vecchie e nuove, Dinosaur jr, Bardo Pond, Mercury Rev, Boris, Built to Spill, Smashing Pumpkins, Motorpsycho (ascoltate l’anthem “Candle”), Mogwai, chi più chi meno, tutti dovranno misurarsi con questo mostro di rumore e dissonanza che nasconde però melodie stupefacenti che ne emergono come l’improvviso squarcio di sole fra nubi temporalesche.

Le coordinate della band sono nel doppio attacco chitarristico delle asce di Moore e Ranaldo, violentissime o frastagliate quanto distaccate e pensose sono le voci dei due, a cui si aggiunge quella ben più incisiva di Kim, e nell’indispensabile contributo di Shelley, che ha una evidente passione per il krautrock, Neu! e Can soprattutto, il suo è drumming ossessivo e fantasioso che impara dai mastri birrai teutonici Dinger e Liebezeit, come si sente già al primo attacco di “Teenage Riot”.

Non è che i ragazzi si dimentichino dei maestri locali come Ramones e Stooges (“Silver Rocket”), Lou Reed e Talking Heads, ma tutto è ripreso mescolando le influenze e aggiungendoci proprio tanto di personale, sapendo mettere a frutto tutto ciò che hanno imparato in anni di attività.

Positivamente immensa “The Sprawl”, ispirata ai libri di William Gibson, con le chitarre che nascondono come un velo tutte le sottigliezze della musica, e il declamare della Gordon è sospeso fra Lou Reed e David Byrne declinati al femminile. “’Cross the Breeze” è hardcore alla Minutemen o Big Black cantato da una Gordon sacerdotessa infernale di Patti Smith con assolo settantiano di chitarra. A chiudere tutto, la suite in tre parti “Trilogy” (l’attacco post-punk di “the Wonder” che si tramuta nella colata di lava distorta ”Hyperstation”, in cui le asce di Ranaldo e Moore sono forse al top della carriera; e si conclude poi l’album con ”Eliminator, Jr”, che secondo gli Youth sarebbe così intitolata perché influenzata dai Dinosaur, Jr e dal suono eighties degli ZZ Top – vabbè).

Solo per la mole di dischi ispirati, “Daydream Nation” sarebbe uno dei più grandi album del decennio senza ombra di dubbio alcuna. È anche l’album grazie al quale il gruppo esce quasi sorprendentemente dall’underground e firma per una major. Si avvicina quel piccolissimo intervallo temporale della storia del rock in cui le distorsioni saranno in primo piano anche su MTV, e i Sonic Youth non faranno mancare il loro contributo alla breve stagione di fama della musica alternativa.

Ma questa è un’altra storia.

- Red

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