9 Ottobre 1978, a otto mesi dall’ultimo lavoro, "Stained Class", i Judas Priest sull’onda del successo e a velocità record pubblicano il loro quinto album, "Killing Machine", altra pietra miliare del gruppo.
(disco completo qua: https://www.youtube.com/watch?v=hTfeXLy2u0w)
"Killing Machine" fu l'album dei Judas Priest che permise al quintetto di Birmingham di compiere un ulteriore passo avanti nel processo di indurimento del proprio sound e affinare il songwriting, tracciando le linee guida che li porteranno poi a pubblicare una serie di masterpiece nella prima metà degli anni ’80. Una delle colonne portanti del nascente movimento della nuova ondata di heavy metal britannico è proprio questo disco.
Inoltre, "Killing Machine" fu l’album con cui Halford e soci cominciarono a farsi immortalare con abbigliamento a base di pelle nera e borchie, inaugurando il classico outfit denim & leather che da lì a poco diventerà una sorta di divisa per ogni buon metallaro che si rispetti.
Come detto, l’uscita ufficiale di "Killing Machine" è datata 1978, almeno per quanto riguardava il mercato europeo e asiatico, in Nord America invece la storia fu diversa: la Columbia, la casa discografica dei Priest, visto il breve lasso di tempo intercorso con il precedente lavoro, aspettò la fine dell’inverno dell’anno seguente per mettere sul mercato il disco, cambiando il nome dell’album con quello di una delle canzoni presenti, la mitica "Hell Bent for Leather", ovviamente per le solite questioni di finto moralismo di fronte a un titolo apparentemente violento come "Killing Machine", venvia, siamo pur sempre nello stesso paese dove vengono cambiati pure i nomi alle squadre professioniste da Washington Bullets a Washington Wizards perché ogni riferimento verbale alle armi o alla violenza viene visto di cattivo occhio…
Parentesi a parte, l’edizione americana merita di venire ricordata soprattutto per la presenza di "The Green Manalishi", cover dei Fletwood Mac rielaborata in versione heavy dai Priest assente nella prima edizione, che diventerà un altro grande classico del gruppo, immancabile in ogni scaletta live.
Oltre ai due classiconi citati, va segnalata la presenza di almeno altri tre pezzi da novanta, la dirompente "Delivering the Goods", forte di un Halford fottutamente elettrizzante e un lavoro encomiabile da parte delle due asce imbracciate dalla premiata coppia Downing – Tipton, la roboante "Running Wild" e la frizzante title-track "Killing Machine", dove la band mostra quanto si diverta a flirtare con ritmiche accattivanti e al contempo rocciose e graffianti.
Assolutamente degni di nota anche i due pezzi conclusivi, la semiacustica malinconica e uggiosa "Before the Dawn", e l’ottima "Evil Fantasies", assolutamente spassosa e tagliente, in cui emerge il retaggio squisitamente sabbathiano del gruppo.
"Killing Machine" (o se preferite "Hell Bent for Leather", a seconda delle vostra sensibilità…) è un disco di altissimo valore senza cali di tensione, tappa obbligatoria per risalire alle origini della NWOBHM. La forgiatura del metallo pesante è quasi ultimata.
- Supergiovane
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