domenica 16 settembre 2018

Talk Talk: "Spirit of Eden" (1988)

Il 16 settembre di trent'anni fa usciva "Spirit of Eden", quarto album degli inglesi Talk Talk. La band di Mark Hollis realizzava così il capolavoro assoluto di una carriera, uno dei dischi più belli degli anni ottanta e uno dei dischi più influenti degli anni ottanta, che ebbe una importanza immensa su tutto il post-rock del decennio successivo, preconizzando l'avvento di Mogwai, Sigur Ros, e della seconda fase della carriera dei Radiohead.



(disco completo qui: https://tinyurl.com/2vxp6cdz)

I Talk Talk sono probabilmente la migliore - non necessariamente la più importante (quella probabilmente furono i Depeche Mode) - delle band uscite dal synth pop dei primi anni '80. E questo soprattutto quando il genere progressivamente lo abbandonarono. Nati come synth pop puro su "The party's over" del 1982, iniziarono uno spettacolare mutamento prima attraverso "It's my life" (1984), uno dei dischi di synth pop più elaborati e interessanti del decennio, dominato dalla prova sofferta del leader, scrittore di testi e cantante Mark Hollis, e poi con lo strepitoso "The Colour of Spring" (1986), nel quale forse si raggiunge il completo equilibrio fra il folk jazz elettrico da camera e il pop rock elettronico.

Nel 1988 Mark Hollis (il succitato leader) e la sezione ritmica costituita dagli interessantissimi Lee Harris (batteria) e Paul Webb (basso fretless e seconda voce) si affiancano ancora una volta al produttore e tastierista Tim Friese-Greene e reclutano la solita messe di collaboratori esterni che completino le partiture della band, questa volta sempre più scheletriche, desolate e astratte, seppur caratterizzate da un vago calore spirituale, come quello di un'alba estiva o tutt'al più di una prima mattinata della tarda primavera.

Il synth pop è ormai completamente scomparso: a dominare il suono stanno le chitarre elettriche di Hollis e di Robbie McIntosh (usuale compagno di strada del gruppo), la batteria ebbra di inflessioni folk e percussive di Hollis con le percussioni di Martin Ditcham, l'organo, l'armonica di Mark Feltham, i mille brevi bozzetti contribuiti dagli strumentisti in studio.

"The Rainbow", aperto dall'armonica, ci conduce in questo mondo bucolico e assolato, fra ripetizioni formali del materiale con variazioni minimaliste e una maniacale attenzione per la natura sonora del materiale. Si arriva così a "Eden", con uno dei riff chitarra-batteria più emozionanti dell'album e il ritornello accorato e drammatico di Hollis punteggiato dall'elettrica. La capacità dinamica della band si manifesta al suo massimo nella successiva "Desire", che vede il batterista Lee Harris prodursi al meglio (anche se il suo stile ampio e creativo troverà forse il culmine sull'album successivo, "Laughing Stock").

Altra prova superba di dinamica è la canzone a tema ecologista "Inheritance", uno dei punti più alti dell'album, mentre la dolcissima "I believe in you", scelta come singolo, è sicuramente la canzone più accessibile, con quella indimenticabile linea di organo e quei cori celestiali ad acquarellarne delicatamente l'esile ritornello. "Wealth", condotta da pianoforte, contrabbasso e organo, chiude l'album con un momento quasi di illuminazione divina, profondamente toccante, in cui la sofferenza di Hollis finalmente si trasforma in catarsi e il sole finalmente sorge in modo pieno sulla campagna e la notte svanisce su un timido ad libitum di organo.

"Spirit of Eden" fu odiato o amato, con poche vie di mezzo. Amato certamente da tutti gli inventori del post rock britannico come i Mogwai e i Bark Psychosis, amato da alcuni critici per la sua ambizione, per la sua natura sperimentale e innovativa - era difficile trovare qualcuno che osasse, alla fine degli anni '80, sperimentare sulla natura stessa della musica leggera in modo innovativo; con poche eccezioni, si pensi per esempio agli XTC, mentre per quanto innovativo e progressivo non risultava altrettanto di rottura il percorso che portava dal post punk americano a college rock, rock alternativo e grunge - e soprattutto, i Talk Talk lo fecero in assoluta solitudine.

Odiato da molti proprio perché ambizioso, privo di umorismo - testi criptici, un Hollis cupo e afflitto che si prende terribilmente sul serio -, complesso e pretenzioso: la band litigò con la propria casa discografica (la EMI) e la lasciò, il disco era impossibile da promuovere commercialmente, i Talk Talk si rifiutarono anche di fare un tour promozionale, un po' per l'obiettiva difficoltà di riprodurre tutte le complesse sovrapposizioni, ma soprattutto per l'idiosincrasia sempre crescente del leader Hollis. Non a caso, il bassista Webb lascerà il gruppo prima dell'incisione del suo disco finale "Laughing Stock", poi Hollis dopo un album solista nel 1998 abbandonerà quasi completamente il mondo della musica e la scena pubblica per ritirarsi alla vita privata nella campagna inglese.

Il momento più alto della sua carriera e del gruppo che guidò per un decennio, però, è qui, pronto a farsi ascoltare.

- Prog Fox

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