sabato 15 settembre 2018

Death: "The Sound of Perseverance" (1998)

Quindici settembre dell’anno di grazia 1998: i Death, creatura del mastermind Chuck Schuldiner, pubblicano il loro settimo e ultimo album da studio, "The Sound of Perseverance". 




(disco completo a disposizione qui: https://www.youtube.com/watch?v=XjB101k2Bog)
 
Non sono tanti gli album che possono vantare lo status di pietra miliare, album di culto per l’intero vasto panoramana heavy metal, sia per ciò che concerne il loro assoluto valore prettamente musicale quanto per l’importanza a livello simbolico per un’intera generazione, summa e apice compositivo definitivo di uno stimato musicista scomparso prematuramente non molto tempo dopo, album immortali che rimarranno eternamente marchiati come pezzi unici inimitati e inimitabili. "The Sound of Perseverance" ne fa parte.

Uscito a tre anni di distanza dal precedente "Symbolic" e a undici dall’esordio "Scream Bloody Gore" (altro album a modo suo epocale, nonostante il livello qualitativo sia distante anni luce), è un lavoro che racchiude quanto Schuldiner abbia maturato nel corso di una prestigiosa carriera.

La carriera di Schuldiner partì quando era ancora adolescente con il marcio e grezzo "Scream Bloody Gore" appunto, lavoro che ha fatto da pioniere per il genere del death metal, a cui seguì "Leprosy" in cui Evil Chuck affinò le proprie doti strumentali e compositive. Queste risultarono ulteriormente migliorate col successivo "Spiritual Healing", nonostante il fatto che in esso per la prima volta Schuldiner sbagliò la scelta di un musicista, pescando il pessimo Bill Andrews il quale penalizzò oltremodo le composizioni con il suo stile monocorde e privo di fantasia.

Al quarto tentativo, ecco arrivare "Human", notevole salto di qualità sotto ogni aspetto, produzione compresa. Fu poi il turno del monumentale "Individual Thought Patterns", definitivo passo verso un death metal “forbito”, estremamente feroce, tecnico, complesso, variegato ma anche tendenzialmente melodico, seppur su binari differenti rispetto alla scena death di Goteborg che in quegli anni stava fiorendo dalla parte opposta dell’Oceano Atlantico.

"Symbolic", sesto parto di Schuldiner, mostrava ulteriori evoluzioni proprio a proposito dell’approccio armonico delle composizioni, attenuando in parte quella ferocia che da sempre li contraddistingueva. Ed eccoci giungere a "The Sound of Perseverance", il definitivo compendio dell’immaginario sonoro e concettuale di Schuldiner, lavoro che più di qualsiasi altro si evolve verso nuovi lidi e dà un taglio netto con il proprio background. Bisogna dire che già all’epoca di "The Sound of Perseverance", Evil Chuck teneva il piede in due staffe, essendo già proiettato verso il suo prossimo progetto, i Control Denied, con cui l’anno seguente inciderà il suo primo e unico lavoro, "The Fragile Art of Existence", e con cui chiuderà definitivamente i conti con le sonorità death metal.

Di fatti, in "TSOP" risaltano ritmiche e partiture debitrici del metal tendente alle produzioni più recenti dei Judas Priest, dell’heavy ibrido a stelle e strisce dei Riot, nonché ovviamente influenze della sempreverde new wave of british heavy metal, oltre a soluzioni tendenzialmente progressive, per quanto concerne la loro complessità compositiva e disomogeneità strutturale. Una nuova forma di concezione evoluta del death metal, senza scomodare le inclinazioni jazz e fusion degli Atheist o i synth e le trame oniriche dei Cynic, gruppi che comunque non hanno avuto lunga vita.

Come sappiamo bene, a ogni disco Chuck Schuldiner ha spesso cambiato almeno due membri della lineup, avvalendosi dei servigi di musicisti formidabili dalle carriere già ben avviate fra cui ricordiamo Gene Hoglan, Andy LaRoque, Sean Reinert, Paul Masvidal, Steve DiGiorgio, James Murphy e tanti altri. Bene, questa volta Schuldiner fa tabula rasa resettando la formazione, e affidandosi a perfetti sconosciuti (all’epoca, almeno, lo erano). Shannon Hamm come spalla alla seconda chitarra, il valido Scott Clandenin al basso e dietro le pelli Richard Christy, fenomenale drummer che riesce a compiere l’ardua impresa di non far rimpiangere Hoglan. Tutti e tre i nuovi membri seguiranno Schuldiner nei Control Denied.

Piccola curiosità a parte, Christy, appassionato pure di cinema, dopo aver militato anche negli Iced Earth tenterà la carriera da attore, senza tuttavia ottenere grandi risultati, solo particine in film minori o comparsate, l’ultima in Guardians of Galaxy Vol.2 in una fugace apparizione assieme a Rob Zombie.

Già dai primi secondi dell’eccezionale opener "Scavenger of Human Sorrow" possiamo appurare quante cose siano cambiate nel “nuovo” corso dei Death: la doppia cassa di Christy è devastante come quella di Hoglan, i riff sono sempre taglienti come lame di rasoi, ma ci troviamo di fronte a pezzi strutturalmente più ricercati ed elaborati, molteplici e repentini cambi di tempo e scale poliritmiche vanno a completare soluzioni ancor più variegate e raffinate. E la voce di Chuck, anche per i problemi che hanno afflitto le sue corde vocali, è mutata completamente: il suo caratteristico potente e lacerante semi-growl, che già in "Symbolic" cominciava a dar segni di cedimento, è mutato in un grugnito acido e corrosivo meno aggressivo. Quella che non è mutata, è la sua struggente e alienata verve solistica, espressa attraverso i suoi classici assoli “che strillano”. Sempre estremamente curati anche i testi, sempre indirizzati verso sofferenti e conflittuali emozioni eterne, crisi e tormenti esistenziali enfatizzati dall’intensa sezione strumentale.

“Chi lotta contro i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te”, questo celebre aforisma partorito da Friedrich W. Nietzsche viene riportato sul retro del booklet, ed è piuttosto indicativo del filo conduttore che lega i testi dei brani, così come lo splendido artwork a opera di Travis Smith (quando ancora non era così inflazionato dalla scena metal come concept artist), ambiguo e decadente.

"Spirit Crusher" si contende con il pezzo d’apertura il titolo della migliore composizione del lotto, anche in questo caso si tratta di un pezzo zeppo di cambi tempo e dalle ritmiche variegate e ottimamente assemblate, dettate da Christy sempre in grande spolvero, e il break con refrain annesso è forse il migliore concepito da Schuldiner durante la sua carriera.

Su livelli di eccellenza assoluta troviamo davvero grandissima parte del lavoro, come non citare l’avvincente e fortemente progressiva "A Story to Tell", formidabili i riff e l’assolo iniziale, la lunga e complessa "Flesh and Power It Holds" (l’assolo durante il break centrale è qualcosa di indescrivibile) e l’altrettanto poderosa "To Forgive Is To Suffer".

"Voice of the Sou"l è la parentesi strumentale di "The Sound of Perseverance", connubio di una chitarra acustica e una elettrica solista, pezzo emotivamente molto intenso, vogliamo considerarlo come l’epitaffio sonoro di Evil Chuck.

Un po’ sotto il livello medio del disco "Bite the Pain", brano dai riff d’introduzione quasi gothic e dalle linee vocali iniziali tediose, ma che con lo scandire dei secondi progredisce e finisce per attestarsi su livelli decisamente alti. "A Moment of Clarity", penultimo pezzo del lotto, sarebbe un mid tempo più lineare e anche non particolarmente ispirato, ma bisogna dire che contiene alcuni degli assoli più belli del disco, cosa non proprio di poco conto. Curiosa la scelta di chiudere "The Sound of Perseverance" con l’immortale "Painkiller" dei Judas, prima volta che i Death si cimentano in una cover, per omaggiare quelli che sono stati forse più di chiunque altro i padri fondatori dell’heavy moderno e dei sottogeneri che ne sono derivati. Che dire del pezzo? Beh,è più veloce e potente dell’originale, Christy è una furia umana, l’ugola di Chuck strilla a vette siderali (ma visto il livello delle sue performance vocali di quel periodo, “l’aiutino” in studio deve essere stato bello grosso) come anche la sua chitarra, gli assoli sono stati riscritti e rielaborati, ma per quanto siano di pregevole fattura, non reggono il confronto con gli originali di Downing e Tipton.

Difficilissimo dire quale sia il lavoro migliore, fra "Individual Thought Patterns" (che resta il mio preferito, personalmente), "Symbolic" o "The Sound of Perseverance". Ma dopotutto non ha importanza. Ciò che conta, è che Schuldiner ha voluto chiudere l’esperienza dei Death in questo modo, al proprio apice come compositore e scrittore musicale, autore inimitato e inimitabile. All’epoca il disco non venne nemmeno tanto acclamato, fu anche criticato da una buona fetta di pubblico per il fatto che si staccasse troppo nettamente dai lavori precedenti e dai canoni death metal, le vendite furono basse, poco più di 10'000 copie in tutto il mondo.

Diventò album di culto solo in seguito, complice anche la sfortunata sorte di cui Schuldiner fu vittima, anche la sua campagna di crowdfunding per pagare le cure mediche non andò a buon fine come sperato. Triste la sorte del musicista squattrinato…

- Supergiovane

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