martedì 11 settembre 2018

Spirits Burning & Michael Moorcock: "An Alien Heat" (2018)

Meno di due settimane fa è uscito "An Alien Heat", nuovo disco del collettivo musicale Spirits Burning, guidato dal tastierista americano Don Falcone. Falcone e Albert Bouchard (batterista fondatore dei Blue Oyster Cult) hanno composto l'album assieme allo scrittore di fantasy e fantascienza inglese Michael Moorcock, facendosi poi aiutare per sviluppo dell'album e nei soli da una vasta messe di collaboratori. Il risultato è un disco di rock classico che non può mancare nelle collezioni di un amante dell'hard rock o dello space rock anni settanta.



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Il nuovo disco degli Spirits Burning (il progettone musicale a guida Don Falcone) è un mezzo capolavoro per tutti coloro che rimpiangono i classici dei settanta di gruppi come Hawkwind e Blue Oyster Cult. Non a caso fra i 31 musicisti che hanno lavorato al concept elaborato da Michael Moorcock ci sono Albert Bouchard, Joe Bouchard Official Page, Donald 'Buck Dharma' Roeser e Richie Castellano: Band Geek (i primi tre della formazione originale del Cult e il quarto loro collaboratore da anni) e Harvey Bainbridge, Bridget Wishart, Mick Slattery e Adrian Shaw (tutti ex-Hawkwind). Più infiniti altri come Jonathan Segel dei Camper Van Beethoven al violino o Andy Dalby Music (ex Arthur Brown's Kingdom Come e Camel - Band) alla chitarra solista.

Oltre ad essere costituito da canzoni di rock settantiano dense di assoli, strumenti esotici e ritmi ossessivi a sufficienza da richiamare BOC e Hawkwind per compiacerne i fan, bisogna dire che le canzoni sono davvero buone, a tratti ottime, e questo quasi per un cd intero, strapieno e stracolmo, con sedici brani che riempiono quasi ogni spazio di memoria digitale disponibile.

“Hothouse flowers”, cantata dall’immortale Buck Dharma (ma non potevate anche fargli fare un assolino?), apre le danze in pieno territorio Blue Oyster Cult, per poi lanciare la strepitosa “Geronimo”, con la voce sempre più calante e roca di Albert Bouchard che esprime la sua strabordante personalità su uno dei pezzi mid-tempo più riusciti del disco, grazie anche al violino di Segel e all’armonica di Moorcock in persona. Segue “Soiree of Fire”, altro eccelso brano corale a tre voci (Moorcock, Bouchard e Anne Marie Nacchio in Castellano, la moglie di Richie, alla quale si sarebbe potuto dedicare più spazio nell'album) decorato dai fiati elettrici della Wishart. L’orecchiabile “In the future”, cantata da Jsun Atoms, ospita un bel solo di Richie Castellano.

“Doomed” vede ancora protagoniste le fragili voci di Albert Bouchard e Michael Moorcock, mentre “Fall in love”, che potrebbe essere un pezzo di primo piano di un disco degli Hawkind era Lemmy, è cantata da Don Fleming (negli anni novanta collaboratore e produttore di Dinosaur Jr, Sonic Youth, Teenage Fanclub e Screaming Trees) e “Any particular interest” nuovamente da Atoms. “Dark Dominion”, un altro capolavoro dal ritmo motorik e dal sound hawkwindiano, cantata da Andy Shernoff dei The Dictators, conclude la prima mezz’ora del disco (e la prima metà dei pezzi) e finora non c’è ancora stata una nota di troppo.

A questo punto entra uno dei pezzi da novanta, ovvero il signor Joe Bouchard, ex-bassista dei Blue Oyster Cult e fratello di Albert, che ci illumina con il suo stile di scrittura filomostruoso (i fan capiranno) e la sua voce peculiare su due dei brani migliori del disco, la pazzesca “Seven finger solution” (forse il ritornello più contagioso dell’album) e “To steal a space traveller”, oltre sette minuti di jam space rock che sintetizza gli aspetti musicali migliori del progetto.

Nelle tre canzoni successive è Albert a prendere il microfono: la migliore di esse è “Virtue & Mrs. Amelia Underwood”, che mescola la modernità della strofa e il classicismo delle armonie del ritornello, con Falcone e Wishart a colorare di strumenti elettrici il pezzo, ma anche “Back to 1896” ospita un ritornello fenomenale e la bella chitarra di Doug Erickson.

Solo verso la fine si percepisce una certa stanchezza con “Quest for Bromley” e “Old friends with new faces” (e la buona "Thank you for the fog" nei suoi otto minuti non è sempre all'altezza dell'epica conclusiva che il collettivo si auspicava di realizzare), ma speriamo che sia solo una questione fisiologica e che questo non proietti ombre sulla notizia che il collettivo è già al lavoro per produrre il seguito del disco, “The Hollow Lands”, che naturalmente sarà basato sul secondo libro di Moorcock sui Dancers at the End of Time.

A noi non resta che consigliarvi di recuperare i libri e ascoltare con gusto questo album, che testimonia non solo della capacità creativa dell’esuberante Don Falcone ma anche della proficua fertilità di terribili vecchi come Moorcock e Albert Bouchard.

- Prog Fox

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