mercoledì 12 settembre 2018

Seventh Wonder: "Mercy Falls" (2008)

Il 12 settembre di dieci anni fa usciva "Mercy Falls", terzo album del quintetto svedese Seventh Wonder. Uno dei migliori lavori della band di prog metal guidata da Tommy Karevik, si tratta di un concept album drammatico e agrodolce che racconta il viaggio spirituale nel paese di Mercy Falls di un uomo in coma dopo un grave incidente stradale.



(album completo disponibile QUI)

Siamo a metà settembre del 2008, esce "Mercy Falls", terzo studio album dei progster svedesi Seventh Wonder, band nota soprattutto per il proprio frontman Tommy Karevik. Come sappiamo, Karevik fu il sostituto designato di Roy Khan nei Kamelot, con cui ad oggi ha già inciso tre album, cosa che ha aiutato il cantante svedese a venire investito della carica di una delle voci prog moderne più apprezzate attualmente.

“Mercy Falls” fu il primo successo della sua band e l’album che permise alle sue doti individuali di emergere. Timbro cristallino e vellutato, estensione vocale notevole, tecnica impeccabile, presenza scenica considerevole, uno di quei cantanti così perfettini da sembrare dei replicanti prodotti dalla Tyrell Inc. Ma non è l’unica punta di diamante dei Seventh Wonder, forti dell’apporto del chitarrista Johan Liefvendhal, musicista in possesso di un pregevole gusto melodico, in particolare sulle parti soliste, spalleggiato egregiamente dal fenomenale bassista Andreas Blomqvist, tecnicamente formidabile e spettacolare da sentire, uno dei migliori fantasisti delle quattro (ops, sei corde intendiamo) corde in circolazione. Completano la formazione il valido batterista Johnny Sandin mentre alle tastiere troviamo Andreas Soderin, quest’ultimo il punto debole del gruppo, strumentista certamente preparato, per carità, ma le sue smanie di protagonismo con soli di dubbio gusto e una scelta di suoni eccessivamente sfarzosi risultano talvolta fuori luogo e anziché essere un valore aggiunto finisce per spezzare il climax raggiunto nelle composizioni.

Il prog metal che propone il gruppo è di scuola dreamtheateriana, in cui è prioritaria la pulizia dei suoni e delle linee vocali, perfettamente bilanciati fra loro, lasciando talvolta spazio a qualche digressione solista da parte dei singoli, lo stile è improntato su armonie ariose guidate da linee vocali aggraziate, guidate talvolta da ritornelli immediatamente assimilabili vicini a stilemi squisitamente adult rock oriented (ma non ruffiani da classifica eh!), come nel caso delle vincenti “Welcome to Mercy Falls”, “Paradise” e “Hide and Seek”, tre dei pezzi forti del disco.

L’album presenta quindici pezzi per complessivamente un’ora e un quarto, per la prima volta il gruppo si diletta nella stesura di un concept album, niente “Fantasma dell’Opera” o “Faust”, il tema trattato è originale, a personale concezione di Karevik e soci, protagonista del racconto è un uomo che ha appena avuto un incidente automobilistico in strane circostanze, appena soccorso viene trasportato in ospedale in stato critico, l’operazione lo salva ma l’uomo rimane in uno stato di coma a tempo indefinito; la moglie, il figlio e il chirurgo sono gli altri personaggi presenti. Intrappolato nel suo stato comatoso fra la terza e la quarta dimensione, l’uomo viene catapultato a Mercy Falls, un villaggio situato in un luogo fittizio partorito nella sua mente.

Altro personaggio fondamentale è una misteriosa donna che vive intrappolata in una magione di cui tutti i bambini del villaggio hanno paura, con cui l’uomo si rende conto di avere una forte affinità; realizza in seguito che essa è l’esatta proiezione del suo inconscio. E la trama si snoda così fra due mondi, l’immaginaria Mercy Falls e la stanza d’ospedale dove la moglie e il figlio gli fanno regolarmente visita dialogando con il chirurgo sul da farsi, fino allo scioccante finale. E così si snoda “Mercy Falls”, fra introduzioni e pezzi strumentali con tanto di dialoghi recitati ed effetti sonori in sottofondo.

Album dalle tinte dolciamare, che alterna momenti drammatici come nel caso delle toccanti ballad “One Last Goodbye” e “Tears for a Father”, guidate da una intensa prova di Karevik, o pezzi più avvicenti orientati verso gli altri grandi padri ispiratori Symphony-X, che presentano anche qualche spruzzata di power metal, quali “Unbreakable” e “Destiny Calls”, a riprova che all’occorrenza il gruppo sa anche fare la voce grossa, molto pregevole anche la “mezza” suite multitasking “Break the Silence”, dove sono soprattutto il solismo e l’indole melodica di Liefvendhal a svettare, ben supportato da Blomqvist e dal sempre impeccabile Karevik.

L’intero platter comunque si attesta su livelli decisamente buoni, senza mostrare incertezze e cedimenti di sorta, grazie anche alle restanti “A Day Away” e “Fall in Line”, che confermano l’ottima alchimia collettiva del sestetto svedese, fino all’imponente conclusiva “The Black Parade”.

Il gruppo si confermerà su questi livelli due anni dopo con il buon “The Great Escape”, salvo venire poi congelati in seguito all’ingresso di Karevik nei Kamelot, situazione che probabilmente gli ha impedito di esplodere definitivamente.

Comunque, è imminente l’uscita dopo oltre otto anni di silenzio di un nuovo lavoro dei Seventh Wonder, prevista per metà ottobre 2018. Nel frattempo, questa è una buona occasione per rispolverare uno dei migliori lavori prog metal degli anni 2K, un lavoro che non ha certo condizionato e apportato novità al genere, che non si discosta di un millimetro da stilemi già proposti e perfezionati, ma che è in grado di emozionare e farsi apprezzare parecchio per i tratti distintivi di cui il gruppo è in possesso.

- Supergiovane

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