martedì 18 settembre 2018

Spirit: "the family that plays together" (1968)

Il 18 settembre di cinquant'anni fa venivano completate le registrazioni di "The family that plays together", secondo album degli Spirit, immensi e misconosciuti protagonisti della scena psichedelica californiana degli anni '60.



(album completo con tracce bonus qui: https://tinyurl.com/3crba9uh)

Gli Spirit avevano pubblicato il loro omonimo album di esordio nel 1967, diventando subito una sensazione nell’underground psichedelico della West Coast. Traguardo meritato che consolidano negli anni successivi: i loro primi quattro dischi, infatti sono tutti vere e proprie perle che ne fanno uno dei più importanti e sottovalutati gruppi del genere.

Gli Spirit lavorano da marzo a settembre del 1968 al loro secondo album, intitolato “The family that plays together”, gioco di parole sulla massima religiosa molto famosa in America che dice “the family that prays together stays together”. Il titolo scherza anche sul rapporto familiare fra Ed Cassidy, batterista quarantacinquenne, e suo figlio adottivo Randy “California” Wolfe, chitarrista-cantante di soli diciassette anni e allievo di Jimi Hendrix. Completano il gruppo il cantante-tastierista Jay Ferguson, il bassista Mark Andes e il tastierista John Locke.

Sono molti i pezzi a essere composti durante la preparazione del disco: la maggior parte delle canzoni, firmate quasi esclusivamente da Randy California e Jay Ferguson, compaiono su “The family that plays together”, mentre buona parte degli strumentali, scritti da tutti i membri del gruppo, costituiranno la colonna sonora di “Model Shop”, film del regista francese Jacques Demy.

Il tono generale dell’album è lo stesso dell’esordio, rock psichedelico che oggi definiremmo classico per l’epoca, ma la scrittura si è fatta più asciutta ed efficace, capace di puntare su riff, armonie vocali e ritornelli memorabili, mentre rimangono degne dei più ambiziosi voli pindarici le giustapposizioni fra gli stili, possibili data la fantasia e la buona tecnica individuale dei membri, il cui affiatamento raggiunge qui il culmine.

La fantasia e le giustapposizioni fanno sì che il disco risulti vario nonostante la produzione e i suoni offerti dai musicisti si orientino a una certa uniformità, scelta non di ripiego ma utilizzata per dare unità concettuale a un disco che esige già una certa dose di attenzione da parte dell’ascoltatore. Caratteristiche che si ritrovano di brano in brano sono le varietà timbriche impiegate alla sei corde da California, le influenze jazz di Locke e Cassidy, l’uso discreto ma prezioso delle armonie vocali.

Spiccano così il solo perfetto che imbratta la tela world music di “Jewish”, o la doppia chitarra e le armonie vocali dell’incalzante crescendo di “Dream within a dream”, la sognante “Drunkard”, con archi arrangiati da Marty Paich (il papà di David dei Toto), ma soprattutto due pezzi: “Darlin’ if”, una delle più belle canzoni d’amore del 1968, tenera senza mai essere sdolcinata, prodotto di un gruppo di musicisti che anche negli anni settanta non si rassegnerà mai a diventare come James Taylor o David Crosby, e la conclusiva “Aren’t you glad”, che si candida a essere uno dei brani simbolo del gruppo, con quel tono meraviglioso di chitarra che strazia le linee di piano e la voce di Ferguson che si inerpica (non senza difficoltà) alla ricerca appassionata di sprazzi lirici.

“The family that plays together” potrebbe essere il migliore album di una quadrilogia leggendaria per qualunque vero amante della psichedelia west coast. Ma per non sbagliarsi, il consiglio è sempre di procurarsi tutti e quattro i dischi – “Spirit”, “The family that plays together”, “Clear” e “The twelve dreams of Dr. Sardonicus”, e di ascoltarseli uno dietro l’altro senza soluzione di continuità.

- Prog Fox

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