mercoledì 5 settembre 2018

Siouxsie & the Banshees: "Peepshow" (1988)

Trent'anni fa oggi usciva "Peepshow", ottavo album di Siouxsie And The Banshees. Disco eclettico e moderno, porta la band alla sua ultima fase e alla sua ultima lineup.




Contaminate irrimediabilmente dalla sensibilità pop di Robert Smith, Susi e le sue Banshees buttano fuori il chitarrista Carruthers (sostituito da Jon Klein, il fondatore della Batcave di Soho) dopo "Through the looking glass", un disco di cover che per me è di base sempre na zozzeria. Chiaro che non si torna indietro alla fase più dark e sperimentale, il pop insidia ogni canzone, però che male c'è?

Il male si sente con "Peek-a-boo", singolone che sfonda in America e che è una roba dance che mamma mia manco i peggiori Duran Duran. Per fortuna il resto del disco è di buon livello, la terna "The Killing Jar"-"Scarecrow"-"Carousel" riesce a spaventare con quello che di fatto è una versione dark del synth pop. Il discorso prosegue anche più avanti con "Rawhead and bloody bones", splendida, e "Rhapsody".

Martin McCarrick, nuovo tastierista, ci piace quando implemente il violoncello, meno quando usa la fisarmonica. Meno riuscite ma non vomitevoli le divagazioni world music di "Turn to stone" così come il rockabilly di "Burn-up"; l'esperimento riesce finalmente in "The Last Beat of My Heart", in cui Siouxsie Sioux abbandona completamente le proprie tonalità cupe per darsi a una vocalità romantica e sensuale.

La Susi e le sue Banshees ebbero il favore della critica per tutta la carriera, quindi non sorprende che si parli bene anche di questo disco; ho il sospetto che i critici però non abbiano ascoltato né il primo disco né nessuno dei successivi, e che la Susi poteva incidere un capolavoro del punk, un disco di pop squallido o uno di piatti rotti e le recensioni sulle prestiggggiose riviste musicali sarebbero state le stesse.

Un atto di coraggio da parte nostra richiede prendere una posizione; possiamo dire questo: per poco meno di metà è un disco un po' inconsistente, con arrangiamenti fuori fuoco soprattutto quando usano roba world; per buona metà abbondante è un buon disco, dalla potente e riuscita componente melodica, che arriva forse un po' fuori tempo massimo per salvare il pop inglese nato dalla new wave. Non è un sellout, quanto la volontà di una evoluzione che proseguirà per altri due album prima di interrompersi con "The Rapture" nel 1995.

Ma questa è un'altra storia.

- Red

(disco completo qui: https://www.youtube.com/playlist...)

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