"…And
Justice for All" compie trent’anni, quarto album di inediti dei
pluriosannati e pluridiscussi Metallica, band da sempre capitanata da
James Hetfield, Lars Ulrich e Kirk Hammett, primo lavoro senza Cliff
Burton al basso, ultimo lavoro del gruppo pubblicato negli eighties e
ultimo lavoro puramente thrash di quelli che in quegli anni sono stati
fra i precursori e il gruppo di maggior successo interplanetario del genere.
La storia dei Metallica relativa a quel periodo la conoscono bene o
male tutti, durante il tour europeo di "Master of Puppets" il bus del
gruppo si ribalta, Cliff Burton viene sbalzato fuori e resta schiacciato
dal peso del mezzo, praticamente illesi gli altri membri. Il gruppo,
all’apice della propria fama, si ritrova a dire addio al loro amico
nonché membro fondamentale nell’alchimia del gruppo. "…And Justice for
All" fu il loro modo di rialzare la testa.
Se proponessimo un
sondaggio riguardante la disputa “qual è il miglior disco dei
Metallica?” molti risponderebbero senza esitare "Master of Puppets",
altri il "Black Album", per il suo appeal commerciale: "...And Justice
for All" invece non prenderebbe molte preferenze.
Diciamo
subito che, effettivamente, non è il miglior lavoro del gruppo. Ma
sarebbe potuto esserlo. Resta un disco fenomenale, quello dove la band
fa maggiormente sfoggio del proprio tasso tecnico e delle proprie
qualità compositive, proponendo composizioni lunghe e articolate, in
perfetta linea con l’archetipo di techno-thrash che stava sviluppandosi
in quegli anni, e che tutt’ora resta alquanto in voga, e verrà ricordato
soprattutto per essere l’album che contiene "One", la powerballad
mutaforma più prestigiosa della storia del metal. Fu però penalizzato da
molti “ma”.
Come detto, Burton non era il solito bassista che
contribuisce a erigere o spesso a seguire la sezione ritmica di un
gruppo, Burton era proprio uno dei maggiori compositori di quelle
partiture metallico-melodiche che fecero la fortuna del quartetto.
Sostituirlo era un’impresa pressoché impossibile, i Metallica pescarono
bene, anzi, benissimo, reclutando Jason Newsted dai misconosciuti e
eterni sottovalutati Flotsam & Jetsam, nonostante le sue doti però
non sarà mai amato dai fan come Burton, né tantomeno verrà completamente
integrato come membro a pari diritti degli altri. E soprattutto, fu la
produzione del disco che all’epoca (ma pure in tempi più recenti) destò
parecchie polemiche.
A inizio 1988 la band si chiuse in studio
dove rimase oltre quattro mesi per dare vita a "…And Justice for All",
un lasso di tempo decisamente lungo per partorire un disco. Come
producer fu confermato il danese Flemming Rasmussen, amico di Lars, già
al lavoro con i due precedenti masterpiece "Master of Puppets" e "Ride
the Lightning". A capo della crew, venne reclutato l’ingegnere del suono
Steve Thompson, reduce dal gran successo ottenuto con "Appetite for
Destruction" dei Guns. La sua leadership in studio venne però oscurata
da Ulrich, il quale pretese di avere l’ultima parola su ogni aspetto
della produzione.
Pomo della discordia fu il mixaggio finale,
in cui proprio Ulrich impose a Thompson di regolare il settaggio sonoro
dei bassi nettamente sotto il livello medio degli altri strumenti.
Newsted inoltre, venne volontariamente estromesso dalle sessioni finali
di mixaggio, quasi come fosse un turnista incaricato solamente di
registrare le proprie parti. Il risultato che ne venne fuori fu un mezzo
disastro, una delle produzioni più sbilanciate e inadeguate che si
possano ricordare. Inoltre, il master originale presenta un volume di
registrazione davvero basso, chissà in quanti appena inserito il cd nel
lettore hanno pensato nei primi istanti di aver pescato una copia
fallata (n.d.r. fui uno di quelli)… Polemica infinita, riaccesa anche in
occasione dei discussi "St.Anger" (con il nuovo drumkit di pentole e
padelle utilizzato da Lars) e "Death Magnetic" (dove il mixaggio della
versione per il videogame Guitar Hero risultò addirittura più riuscito
del caotico mixaggio definitivo ).
Un vero peccato, perché in
quest’occasione la band diede davvero sfoggio delle proprie capacità
compositive, architettando trame sonore articolate ma al contempo
dannatamente e musicalmente acchiappanti e per nulla ostiche ai timpani
dell’ascoltatore. Nove pezzi per sessantacinque minuti complessivi che
scorrono via che è una bellezza.
"Blackened", formidabile
pezzo d’apertura, mette subito in risalto un gruppo in gran spolvero
sorretto da una sezione ritmica forsennata, senza mai perdere di vista
il senso della melodia. Grandissimi riff, grandissime linee vocali,
grandissimo refrain, grandissimi soli, e un Ulrich visibilmente
progredito che oltre a martellare a go-go adesso può sfoggiare un
bagaglio tecnico dalle svariate soluzioni. Lui stesso dichiarerà di
essersi esercitato parecchio nel periodo precedente all’incisione del
disco per essere all’altezza individuale di gente come Dave Lombardo e
Charlie Benante, salvo poi rinnegare i propri progressi in quanto non
necessari alla funzionalità dell’aspetto compositivo del proprio gruppo.
Opener fenomenale che bissa le illustri "Battery" e "Fight Fire with
Fire".
Il capolavoro dell’intero lavoro pero, lo abbiamo già
detto e lo ribadiamo, spetta a "One", da cui venne tratto anche il primo
videoclip dei Metallica, ispirato al film antimilitarista "E Johnny
prese il fucile" del noto sceneggiatore Dalton Trumbo (uno dei celebri
autori banditi da Hollywood in seguito alle infauste inchieste della
commissione McCarthy) da cui vennero anche estrapolate sequenze della
pellicola… chissà se, col senno di poi, da lì a pochi anni dopo, così
attenti a non contrariare il proprio audience e il grande pubblico, il
gruppo avrebbe avuto l’accortezza di schierarsi in modo così netto… Una
disperata ballad sorretta da una serie di struggenti arpeggi e
malinconici riff, che nell’ultimo capitolo deflagra in una portentosa
cavalcata metallica, favolose le tre sequenze di assoli di Hammett, la
seconda in particolare si guadagnò a pieno merito il settimo posto nella
classifica dei cento migliori assoli della storia stilata da Guitar
Work.
Anche nel caso dei mid-tempo, come l’altrettanto
memorabile "Harvester of Sorrow" (dal testo semibiografico che tratta
del difficile rapporto di Hetfield con il padre), primo singolo
dell’album estratto in concomitanza con la sua uscita, la band riesce
nell’intento di unire riff granitici e solide ritmiche a linee melodiche
assolutamente accattivanti e armoniose.
Operazione riuscita
anche per l’analoga "Eye of the Beholder", brano a tema sociale dove
viene criticato il sistema di controllo delle masse, così come la lunga e
complessa title track di quasi dieci minuti di durata, che punta il
dito contro l’iniquità del sistema giuridico americano.
Gradevole, ma qualche spanna sotto a quanto sentito fino a questo punto,
"Shortest Straw", pezzo piuttosto lineare che pecca in quanto a
fantasia compositiva. Sottotono anche "The Frayed Ends of Sanity",
introdotta da curiosi cori in stile Oompa Loompa di Willy Wonka, non
certo un brutto pezzo, e il refrain è niente male, ma in fin dei conti
non regge il confronto con le altre composizioni del disco.
Con "One" abbiamo già raggiunto vette emotivamente altissime, preparate i
kleenex perché anche con "To Live is to Die" non si può non rimanere
tristemente ammaliati, trattasi della lunga consueta strumentale tipica
dei Metallica, ed è l’ultimo a firma di Cliff Burton, composto assieme
alla band qualche tempo prima dell’incidente, piccolo gioiello al
contempo malinconico e sognante. Verso la fine, vengono recitati i versi
“When a man lies, he murders some part of the world, these are the pale
deaths, which men miscall their lives. All this I cannot bear to
witness any longer, cannot the kingdom of salvation, take me home”,
talvolta attribuiti erroneamente allo stesso Burton il quale annotò
solamente la seconda parte, mentre la prima appartiene al poeta tedesco
Paul Gerhardt.
Chiude i battenti quella violenta bordata che
risponde al nome di "Dyers Eve", uno dei pezzi più tirati in assoluto
composti dal gruppo, dotata di una sezione ritmica che gira a mille,
anche in questo caso la tematica è il difficile rapporto di Hetfield con
la propria famiglia. Curiosamente Dyers Eve non venne mai suonata dal
vivo fino al 2004 per il tour di "St. Anger", a riprova del fatto che,
oltre a essere danneggiato dalla produzione, "…And Justice for All" fu
penalizzato anche da parte della band stessa, la quale spesso suonò in
maniera poco convincente i pezzi qua presenti, Hammett e Ulrich vennero
spesso criticati per le loro performance dal vivo, ritenute
insoddisfacenti e lontane da quanto proposto in studio.
Nonostante tutto, l’album fu accolto alla grande da parte dei fan e
della critica, le vendite furono stupefacenti, superando in poco tempo
il milione di copie vendute (a oggi, sono diventate più di 8 milioni
complessivi), un successo tale da superare anche "Master of Puppets". I
Metallica erano davvero rinati. Ma evidentemente, per Lars tutto questo
non era sufficiente. E fu così che dismise i panni del musicista per
indossare quelli dell’imprenditore musicale, e bussare alla porta di Bob
Rock…
- Supergiovane
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