venerdì 14 settembre 2018

Manic Street Preachers: "This is my truth, tell me yours" (1998)

Il 14 settembre di vent'anni fa veniva pubblicato "This is my truth tell me yours", quinto album dei gallesi Manic Street Preachers e ultimo grande disco della band. Schiacciati fra il crescente successo commerciale e la scomparsa del loro amico e ideologo Richey Edwards, i tre Manics superstiti confezionano la perfetta canzone pop e si perdono in un personale 'giorno della marmotta' dal quale non usciranno mai più.




(si può ascoltare l'album completo qui: https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_lk5tC4Vt-DCQ5hY6IcJaQV-Ae2o-zg8hg)

Quinto album dei Manic Street Preachers, "This is my truth tell me yours" è l'album del tradimento definitivo e della compiutezza allo stesso tempo. Loro disco più famoso, il suo successo si combina in maniera letale con la drammatica e mai metabolizzata scomparsa dell'ideologo del gruppo, il secondo chitarrista Richey Edwards (probabilmente annegato suicida nel 1995) e trasforma il gruppo in un Phil Connors/Bill Murray destinato a rivivere la stessa giornata nel tentativo vano di ricreare la perfetta canzone pop.

Perfetta canzone pop che, per quanto tradisca completamente gli albori post punk della formazione gallese, riesce qui al terzetto con la straordinaria "If you tolerate this then your children will be next", accompagnata da un memorabile video musicale, dal testo con la giusta dose di impegno sociale (e chiaro antifascismo del gruppo, dote mai abbastanza apprezzata), un solo umile del leader, il cantante-chitarrista James Dean Bradfield, e una sezione ritmica ballabile al punto giusto. Meno equilibrati seppure gradevoli gli altri classici pop "The Everlasting" e "You stole the sun from my heart", che raggiunge una strana intesa fra power pop dei settanta e brit pop dei novanta: nel complesso piaceri proibiti che mettono un po' a disagio l'ascoltatore più duro e puro (non necessariamente un male).

I Manics però riescono a illuminare in particolare nei brani più dolenti: "My little empire", condotto dal drumming brillante di Sean Moore, è uno dei pezzi migliori dell'album; doloroso e commovente anche la dolcissima semiacustica "Born a girl", che implica il transessualismo del suo narratore. Momento giusto per notare come autore unico dei testi rimanga il bassista Nicky Wire, laddove fino al precedente "Everything must go" si erano potuti utilizzare composizioni e frammenti lasciati da Richey Edwards.

Il tradimento lascia segni nel cuore e nel corpo del gruppo: Bradfield in sette anni è passato dall'essere un tardoadolescente scavato in viso a essere un bolso cantante pop sovrappeso; la rabbia si è trasformata in parte in rassegnazione e in parte in appetito, commercialmente parlando; sono svaniti i pezzi aggressivi che sapevano mescolare la tradizione post punk britannica e lo street style dei Guns'n'Roses. Quello che resta è ancora tanto - e il talento della band permetterà ai Manics di galleggiare su un mare di mediocrità ancora per anni con occasionali perle pop, una o due per album - talvolta di più, ma senza più alcuna evoluzione sonica.

Di fatto questo è l'ultimo disco davvero significativo e memorabile del terzetto gallese e lo è anche per la consapevolezza - nei testi e nelle musiche - che tutto per loro è svanito con Richey Edwards, consapevolezza nostalgica e sofferta che illumina per un ultimo istante glorioso l'opera dei Manics. Per chi non sa convincersi ad amare l'abbandono del sentiero rock per fermarsi in una radura pop in cui a volte spirerà un vento socialista ma molto più spesso l'odore stantìo di una commercialità anticipatamente senile, il viaggio a fianco della band può concludersi qui, con la clamorosa "South Yorkshire Mass Murder", epica elegiaca che completa il disco con un ultimo acuto.

- Prog Fox

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