Per alcuni critici, si tratta di uno dei massimi lavori di Zappa e forse del rock tutto.
(doppio LP completo qui: https://www.youtube.com/ playlist?list=PL8UfM7ycll7T VnnUJarHff0uV391K5KSG)
Iniziamo con una premessa. A parere di chi scrive, “Uncle Meat” delle Mothers of Invention di Frank Zappa è il più importante disco del rock dopo “Are you experienced”, il debutto della band di Jimi Hendrix.
“Uncle Meat” di fatto inventa in linguaggio moderno il jazz rock, il progressive rock e il rock di avanguardia (Residents, Pere Ubu, tanta new wave e tante band industriali, post-industriali, post-moderne partono da qui). Praticamente tutto ciò che non è hard/heavy/punk, dagli anni settanta in poi, fiorisce qui – naturalmente i semi e le radici erano già state gettate, da tutto il mondo psichedelico e freak, da Beatles, Fugs, da Zappa stesso, e soprattutto da Jimi Hendrix. Ma la maturità di linguaggio che traspare da questo disco è superba, quasi mai raggiunta in seguito in tutto il mondo del rock e dintorni.
Partiamo dalla fine, da quella “King Kong” di tredici minuti che resta forse il pinnacolo creativo di una intera carriera e il più grande strumentale del rock (peraltro già declinato due volte: dopo la lunga suite infatti compare una breve interruzione canticchiata dopodiché il doppio LP si chiude con una sua versione di sette minuti dal vivo). Jazz rock in ¾ che però si innesta su una melodia che più rock bianco non si può. A turno si alternano i solisti: Don Preston al piano elettrico, Euclid James Sherwood al sax tenore, Bunk Gardner alla sua messe di fiati (su “Uncle Meat” suona flauto piccolo e traverso, clarinetto e clarinetto basso, sax soprano, tenore e contralto, e fagotto, talvolta elettrificati e trasfigurati in modo irriconoscibile); nella versione dal vivo a incantare è Ian Underwood (organo, sax contralto e baritono).
Zappa dirige con piglio superbo, mostrandosi chitarrista dalle soluzioni ritmiche sorprendenti – il suo solismo solipsista, ossessivo e innovativo, lo mostra invece nei brani dei primi tre lati di questo doppio LP.
Le Mothers sono qui ormai una piccola orchestra: oltre ai sopracitati solisti, abbiamo una sezione ritmica in cui il brillante Roy Estrada al basso elettrico viene accompagnato da un numero di percussionisti che varia da due (i sempre presenti Jimmy Carl Black, l’indiano del gruppo, e Artie Tripp) a quattro (in alcuni pezzi compaiono infatti Billy Mundi, che incise parte del disco prima di lasciare per i Rhinoceros, e Ruth Komanoff, futura moglie di Underwood). Le percussioni suonano di tutto, dalla batteria rock classica fino a xilofoni, campane, marimba, timpani e vibrafoni.
Le prime facciate dell’album vedono come tema conduttore quello di “Uncle Meat”, colonna sonora di un film mai completato, una delle centomila idee dell’ipertrofico, ipercreativo Frank Zappa. Queste quattro tracce rappresentano i momenti migliori a corredo di “King Kong”, e una delle grandi influenze sul rock progressivo, soprattutto su certo prog britannico, sulla Scuola di Canterbury e sui King Crimson.
Il momento singolo più sublime di tutto il disco è “Dog Breath, in the Year of the Plague”, la più grande canzone doo-woop del Novecento, in cui le tre voci delle Mothers (Ray Collins, voce alta, Frank Zappa, voce bassa, Roy Estrada, falsetto), supportate dalla cantante lirica Nancy Welker, inventano in armonia le melodie vocali più perfette della storia del rock tutto.
A completamento di un opera che già così è potente a livelli quasi indescrivibili, stanno momenti tra l’ostico e l’inebriante come “Nine types of industrial pollution” e “Project X”, le sonnecchianti litanie psichedeliche di “Sleeping in a Jar” e “Mr Green Genes”, altri doo-woop decostruiti come “Electric Aunt Jemima” e l’esilarante “The Air”, capace allo stesso tempo di far ridere e mozzare il fiato, e altre due varianti jazz rock che anticipano la quarta facciata, ovvero “Prelude to King Kong” e “Ian Underwood whips it out”. Il resto sono frammenti parlati e scherzi telefonici che coinvolgono anche il personaggio immaginario di Suzy Creamcheese, già incontrato nei precedenti album delle Mothers e qui interpretato da Pamela Zarubica, che qualcuno riconoscerà come una delle groupies-cantanti protette da Zappa nel progetto GTO.
Le registrazioni per "Uncle Meat" terminano a settembre del 1968, ma le complesse e bizzarre idee di distribuzione e re-assemblaggio degli album di Frank Zappa terranno lontano dai negozi quello che lui stesso comprende essere il proprio capolavoro fino ad aprile (quando avrà terminato di fare uscire altre opere che considera minori e quindi preludi - un po' come faceva Bubka coi record per salto in alto).
Dopo la sua pubblicazione, Zappa sciolse le Mothers: quella band aveva dato tutto quello che poteva dare, e d'ora in poi Zappa avrebbe firmato tutto o quasi col suo nome, e accentrato ancora di più il potere nella sua scrittura compulsiva e autocratica. E nonostante innumerevoli capolavori e nuove innovazioni, non avrebbe toccato mai questo vertice. D'altronde, non c'è riuscito quasi nessun altro, nel rock degli ultimi cinquant'anni.
- Prog Fox
Iniziamo con una premessa. A parere di chi scrive, “Uncle Meat” delle Mothers of Invention di Frank Zappa è il più importante disco del rock dopo “Are you experienced”, il debutto della band di Jimi Hendrix.
“Uncle Meat” di fatto inventa in linguaggio moderno il jazz rock, il progressive rock e il rock di avanguardia (Residents, Pere Ubu, tanta new wave e tante band industriali, post-industriali, post-moderne partono da qui). Praticamente tutto ciò che non è hard/heavy/punk, dagli anni settanta in poi, fiorisce qui – naturalmente i semi e le radici erano già state gettate, da tutto il mondo psichedelico e freak, da Beatles, Fugs, da Zappa stesso, e soprattutto da Jimi Hendrix. Ma la maturità di linguaggio che traspare da questo disco è superba, quasi mai raggiunta in seguito in tutto il mondo del rock e dintorni.
Partiamo dalla fine, da quella “King Kong” di tredici minuti che resta forse il pinnacolo creativo di una intera carriera e il più grande strumentale del rock (peraltro già declinato due volte: dopo la lunga suite infatti compare una breve interruzione canticchiata dopodiché il doppio LP si chiude con una sua versione di sette minuti dal vivo). Jazz rock in ¾ che però si innesta su una melodia che più rock bianco non si può. A turno si alternano i solisti: Don Preston al piano elettrico, Euclid James Sherwood al sax tenore, Bunk Gardner alla sua messe di fiati (su “Uncle Meat” suona flauto piccolo e traverso, clarinetto e clarinetto basso, sax soprano, tenore e contralto, e fagotto, talvolta elettrificati e trasfigurati in modo irriconoscibile); nella versione dal vivo a incantare è Ian Underwood (organo, sax contralto e baritono).
Zappa dirige con piglio superbo, mostrandosi chitarrista dalle soluzioni ritmiche sorprendenti – il suo solismo solipsista, ossessivo e innovativo, lo mostra invece nei brani dei primi tre lati di questo doppio LP.
Le Mothers sono qui ormai una piccola orchestra: oltre ai sopracitati solisti, abbiamo una sezione ritmica in cui il brillante Roy Estrada al basso elettrico viene accompagnato da un numero di percussionisti che varia da due (i sempre presenti Jimmy Carl Black, l’indiano del gruppo, e Artie Tripp) a quattro (in alcuni pezzi compaiono infatti Billy Mundi, che incise parte del disco prima di lasciare per i Rhinoceros, e Ruth Komanoff, futura moglie di Underwood). Le percussioni suonano di tutto, dalla batteria rock classica fino a xilofoni, campane, marimba, timpani e vibrafoni.
Le prime facciate dell’album vedono come tema conduttore quello di “Uncle Meat”, colonna sonora di un film mai completato, una delle centomila idee dell’ipertrofico, ipercreativo Frank Zappa. Queste quattro tracce rappresentano i momenti migliori a corredo di “King Kong”, e una delle grandi influenze sul rock progressivo, soprattutto su certo prog britannico, sulla Scuola di Canterbury e sui King Crimson.
Il momento singolo più sublime di tutto il disco è “Dog Breath, in the Year of the Plague”, la più grande canzone doo-woop del Novecento, in cui le tre voci delle Mothers (Ray Collins, voce alta, Frank Zappa, voce bassa, Roy Estrada, falsetto), supportate dalla cantante lirica Nancy Welker, inventano in armonia le melodie vocali più perfette della storia del rock tutto.
A completamento di un opera che già così è potente a livelli quasi indescrivibili, stanno momenti tra l’ostico e l’inebriante come “Nine types of industrial pollution” e “Project X”, le sonnecchianti litanie psichedeliche di “Sleeping in a Jar” e “Mr Green Genes”, altri doo-woop decostruiti come “Electric Aunt Jemima” e l’esilarante “The Air”, capace allo stesso tempo di far ridere e mozzare il fiato, e altre due varianti jazz rock che anticipano la quarta facciata, ovvero “Prelude to King Kong” e “Ian Underwood whips it out”. Il resto sono frammenti parlati e scherzi telefonici che coinvolgono anche il personaggio immaginario di Suzy Creamcheese, già incontrato nei precedenti album delle Mothers e qui interpretato da Pamela Zarubica, che qualcuno riconoscerà come una delle groupies-cantanti protette da Zappa nel progetto GTO.
Le registrazioni per "Uncle Meat" terminano a settembre del 1968, ma le complesse e bizzarre idee di distribuzione e re-assemblaggio degli album di Frank Zappa terranno lontano dai negozi quello che lui stesso comprende essere il proprio capolavoro fino ad aprile (quando avrà terminato di fare uscire altre opere che considera minori e quindi preludi - un po' come faceva Bubka coi record per salto in alto).
Dopo la sua pubblicazione, Zappa sciolse le Mothers: quella band aveva dato tutto quello che poteva dare, e d'ora in poi Zappa avrebbe firmato tutto o quasi col suo nome, e accentrato ancora di più il potere nella sua scrittura compulsiva e autocratica. E nonostante innumerevoli capolavori e nuove innovazioni, non avrebbe toccato mai questo vertice. D'altronde, non c'è riuscito quasi nessun altro, nel rock degli ultimi cinquant'anni.
- Prog Fox
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