domenica 23 settembre 2018

Mogwai: "The Hawk is Howling" (2008)

Nel settembre di dieci anni fa usciva anche "The Hawk is Howling", sesta fatica degli scozzesi Mogwai. Alfieri del post rock britannico a cavallo del nuovo millennio, colpiscono ancora una volta nel segno.



(disco completo a disposizione qui: https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_kzSjTyRZK8G4YU4Dem0uUZtwFobtqvyeA)

Come si fa a passare dal buio alla luce - dal silenzio al suono - molteplici volte, per ogni occasione che il respiro lo richieda, riuscendo a farlo sempre in modo diverso?

Ecco il miracolo che, a detta che chi umilmente scrive queste rapide note, i Mogwai hanno compiuto nella loro carriera: restare coerenti e fedeli alla linea tracciata fin dall'inizio, a quel gomitolo di seta e acciaio avviluppati insieme che fu "Young Team", senza però incagliarsi
in vie senza uscita ed in stanche riproposizioni di se stessi.
Si considera, in questa affermazione, quanto fatto dagli scozzesi fino ad oggi, anno di grazia 2018: a maggior ragione la considerazione vale nel 2008, quando al pubblico plaudente viene proposto "The Hawk Is Howling", loro sesta opera.

"I'm Jim Morrison, I'm Dead" è il primo distillato di pura emozione che viene estratto dal cilindro: semplici accordi di piano, una tessitura evocativa, un crescendo, un ritorno a casa.
Un meccanismo già visto? Un clichè compositivo abusato? Sarà, ma ditelo alla pelle d'oca e ai brividi che ci percorrono da subito.
Poi "Batcat": ossessiva e riuscitissima incursione in territori prossimi al metallo più urlante e, soprattutto, dimostrazione di intensità e potenza di fuoco, evocatrice dei territori in cui si posizioniava "Mr Beast".
Pezzo incredibile, palpabile, pesante e quasi materico: esplosivo anche nella dimensione offerta dal video di accompagnamento e dei successivi live.
Non c'e' soluzione di continuità qualitativa, semmai un rientrare in porti più eterei ed ovattati dopo tanto sferragliare.
Senza comunque riunciare a cambi di colore ed intensità: "Danphe and The Brain", "Kings Meadow" (quasi bjork-iana nel finale cristallino) e "Local Authority" sono sulfure e nebbiose, sono luci intraviste tra brume e crepuscoli.
"The Sun Smells Too Loud" è uno strano tentativo di pop song, estraneo al contesto per forma stilistica ma non per complessivo interesse e appeal.

Se poi si cerca il brano capolavoro lo si trova nell'ineffabile "I Love You, I'm going to Blow Up Your School". Difficile da descrivere la ragnatela che viene creata dal ragno Braithwaite: si sa solo che ad un certo punto si è avvolti nel bozzolo, in maniera irrinunciabile ed inevitabile.
L'esplosione tellurica del finale del pezzo è sapientemente recintata e contenuta: un minuto, misurato e calibrato, di muro del suono, di pura distorsione dell'animo,di emozione primitiva e primigenia.

Il trittico finale è altrettanto interessante e emotivamente intenso: tre canzoni che sono tre suite, per complessità e struttura.
"Scotland's Shame" parte come una radiazione di fondo, che si espande, si ingigantisce e prende progressivamente piena coscienza di sè diventando
universale e pervasiva.
"Thank You Space Expert" eccelle per intessitura: regala forse una delle linee melodiche più belle mai composte dai nostri, commovente ed eterea.
Giocata tra carillion marziali ed interlocutori e progressioni lancinanti, lascia l'ascoltatore ancora una volta perso nello spazio interstellare.
Ci saluta "The Precipice" ed un inatteso ritorno agli inferi, alla madre terra.
Non si è placata la bestia, il mostro è ancora tra noi, i muscoli ed in nervi sono ancora tesi e lucidati a specchio.

Come per il falco in copertina, il nostro sguardo alla fine del percorso è quasi assente ed ipnotizzato.
L'urlo si è consumato, il richiamo è stato lanciato.
Per chi vuole ascoltarlo e rispondere, e noi siamo tra questi, è tempo di stendere le ali, rispondere alla voce, riprendere il viaggio.

- il Compagno Folagra

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