lunedì 24 settembre 2018

Miles Davis: "Filles de Kilimanjaro" (1968)

Il 24 settembre di cinquant'anni fa vengono completate le incisioni di "Filles de Kilimanjaro", LP di Miles Davis che fa parte della fase di transizione di Davis dalla sua fase acustica a quella elettrica e jazz rock.

Disco intrigante sia dal punto di vista melodico sia dal punto di vista ritmico, vede Miles comporre cinque composizioni affiancato da una messe di collaboratri di primo piano come Wayne Shorter, Herbie Hancock e Chick Corea, con ampio uso del piano elettrico.





(LP completo disponibile qua: https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_nTzI8cogem4Lh8n3HMVmiarAgnOWcyoWM)

Tra giugno e settembre del 1968, il grande Miles Davis registra un nuovo album di jazz sperimentale e astratto, “Filles de Kilimanjaro”, tutto con titoli francesi perché fa più esotico, dice lui. Al suo fianco ci sono alcuni dei musicisti jazz più fighi di sempre, come Wayne Shorter al sax e Tony Williams alla batteria, mentre Herbie Hancock e Chick Corea si dividono le tracce al piano elettrico, e Ron Carter e Dave Holland se le dividono al basso (elettrico il primo, contrabbasso il secondo).

Se non sapete meno di jazz del sottoscritto, probabilmente sti nomi non vi dicono molto, però sono davvero fighi e lo si capisce già dalla prima traccia, “Frelon Brun”, qualcosa di clamoroso che nessun fan di musica veloce e complessa, che siate amanti dei King Crimson o dei Meshuggah, può ascoltare senza farsi prendere una sincope. “Tout de suite” ci riporta invece su sonorità che si sentono spesso nei dischi di Davis, che ricordano un po’ quadri astratti e incomprensibili, come dei De Chirico mezzi cancellati. Nella parte centrale di “Petits Machins” si sente già la parte centrale di “21st century schizoid man” dei King Crimson, che uscirà solo l’anno dopo.

Molto lirico e quasi third stream l’inizio di “Filles de Kilimanjaro”, in evidenza il duetto sax-tromba di Shorter e Davis e il piano elettrico di Hancock, qui siamo su toni caldi e meno astratti, numerosi gruppi prog degli anni settanta hanno tratto ispirazione da queste atmosfere musicali (per dirne uno, la PFM, molte improvvisazioni live della quale seguono lo schema tracciato qui da Miles.

Chiude il disco la composizione più lunga dell’album, “Mademoiselle Mabry”, dedicato alla moglie di Miles (raffigurata sulla copertina), sposata proprio a settembre quando si chiudevano le registrazioni del disco. Si tratta di un pezzo un po’ più tradizionale nel suo sviluppo, con una lunga sezione di chiaro sapore blues, tromba notturna che sa di sigaretta e film noir, ci sembra quasi di vedere un giovanissimo Tom Waits che assiste all’esecuzione da un tavolino all’angolo del locale. Forse data l’atmosfera rilassata, si sarebbe potuta un po’ contenere la lunghezza di questo ultimo brano, sedici minuti, anche perché il disco dura quasi un’ora.

“Filles de Kilimanjaro” è un altro fondamentale disco di transizione che mostra come Miles Davis stesse sempre più guardando al rock e alla possibilità di rinnovare il proprio linguaggio e mostrare la strada del jazz più moderno ai musicisti blues e rock. In questo senso, si tratta di un disco che è facilmente fruibile dagli amanti del rock e del metal più tecnico e complesso, e che ci sentiamo di consigliare a chiunque non abbia paura di espandere gli orizzonti della propria coscienza sonora.

- Prog Fox

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