sabato 25 agosto 2018

Elliott Smith: "XO" (1998)


"Kisses and Hugs, my friend", ovverosia in una sintesi tenera, adolescenziale ed affettuosa: "XO".
Baci, abbracci e carezze al mondo intero: nel 1998 Elliott Smith si lascia andare e butta le braccia intorno al mondo.



Del resto le cose non stanno andando male, per quanto riguarda la carriera: la platea ormai è sempre più numerosa ed applaude sempre più convinta ed entusiasta. Il mondo indie e low-fi, quello più sincero e raffinato, lo ha accolto come stella di prima grandezza, come diamante ormai non più grezzo ed anzi di gran luce.

La capacità di Smith di destreggiarsi tra intimi dialoghi, aperture pop, citazioni cantautorali, orchestrazioni sempre più ricche lo rendono uno dei punti di riferimento per la scena del periodo. Non passa neppure inosservato il carattere sostanzialmente cinematografico della sua musica, non passa sotto silenzio la sua capacità di descrivere situazioni e sentimenti con abilità quasi fotografica.

Di entusiasmo complessivo non può fare altro che aggiungerne questo "XO" : le trame sottili degli esordi vengono qui in parte riproposte ma con una carica nuova per quanto concerne la messa a fuoco e la gamma di soluzioni compositive a disposizione.

Si parte con la vivace "Sweet Adeleine" ed il nuovo tessuto è messo subito in mostra: la melodia cattura subito ma è evidente subito come la struttura complessiva dell'opera si sia articolata ed impreziosita.
La stessa ricchezza di toni e colori si ritrova in tutti i brani del lotto: spicca sicuramente, tra gli arpeggi di "Tomorrow Tomorrow" ed il piano beatlesiano di "Baby Britain", il ritmo cadenzato di "Walz #2" (che stringe la mano alle cose migliori che oltreoceano sta scrivendo, ad esempio, Badly Drown Boy - suo gemello per ispirazione e gusto).
"Indipendence Day" è altro pezzo da novanta: deliziosa linea di piano e chitarra, doppie voci, gioia.

Mentre in "Amity", "Question Mark" e "Bled White" Smith dà spazio alle pulsioni più puramente rock presenti nel suo arco, la chiusura del disco è affidata a pezzi più riflessivi e meditati come "Everybody cares, everybody understands" (dallo stupefacente finale orchestrale) e "I Didnt Understand" (splendida ballad, tenue e sospesa).

Già perchè, dette delle meraviglie sonore e del ritratto musicalmente perfettamente a fuoco, andrebbe data la corretta rilevanza al sottereneo nervo che percorre - interrato ed in parte coperto - tutta l'opera di Smith.

Che è un nervo fatto di tensioni, di malinconie, di collocazioni sbagliate. Di paura (lo si dice, certo, facendo gli psicologi da due soldi) di un'esposizone eccessiva e forse non così ricercata.
Gli episodi biografici successivi confermeranno questa complessiva fragilità.

Non si potrà quindi fare altro che ringraziare per gli abbracci ed i saluti così generosamente offerti in questo gioello, così forti, così teneri, così necessari.
Così, probabilmente, poco compresi e ricambiati.

- il Compagno Folagra



(il disco completo si può sentire qui: https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_lSaWNS-1K8Npycthm3XCkxiAFVWWRhaVg)

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