Sabato 21 luglio si festeggiava anche il decennale di "Beautiful Future", nono album dei Primal Scream
di Bobby Gillespie. Senza essere un capolavoro, è comunque un buon
album eterogeneo che riassume bene il percorso di oltre venti anni di
carriera della band.
Bobby Gillespie è (deve essere) un individuo piuttosto umorale, lunatico. Ha iniziato la sua carriera come batterista dei Jesus and Mary Chain in “Psycho Candy”, per poi mettersi in proprio e sfornare una decina di dischi che comprendono due capolavori del rock elettronico (“Screamadelica” ed “XTRMNTR”) e un capolavoro rock a tutto tondo (“More light”). Gli altri, i dischi “di mezzo”, sono spesso controversi: si vedano gli episodi rock-blues, spesso crocefissi dalla critica e persino da parte dei fan.
In questo contesto, “Beautiful Future” può essere definito un disco misto: il lavoro di vent’anni di carriera è stato scremato, distillato e proposto in un unico album, spaziando dal soul-funk di “Zombie man”, all’electro di “I love to hurt (you love to be hurt)” e “Suicide bomb”, alla ballatona “Over and over”, al pop danzereccio di “The glory of love” e della title track.
La coesione è garantita dalle melodie di Gillespie e
del chitarrista Andrew Innes, riconoscibilmente cariche di furia punk-rock anche quando si dedicano al rock radiofonico, o alle cavalcate ‘60s come in “Beautiful summer”; sono queste melodie a rendere “Beautiful Future” piacevole e sorprendentemente facile da fruire.
Il rovescio della medaglia è che “Beautiful Future” può apparire un album inconsistente: a canzone orecchiabile segue canzone orecchiabile, tutte disposte in maniera intelligente per esaltarne i sapori individuali, tutte arrangiate in maniera impeccabile.
La formula è la stessa di “Screamadelica”,
ma scevra di qualsiasi sperimentazione o ambizione futurista (non c’è nessuna “Higher than the sun”, qui), mentre manca la sensazione di sfida che accompagnava l’ascolto di quei monoliti di “XTRMNTR” e “More light”.
Quindi ricapitolando, “Beautiful future” è un disco gradevole, divertente, ben prodotto, che ha l’imperdonabile difetto di non essere un capolavoro del rock. Se questo, secondo voi, lo rende inferiore a molti altri dischi di rock del 21esimo secolo, allora, per favore, non ascoltatelo.
- Spartaco Ughi
Bobby Gillespie è (deve essere) un individuo piuttosto umorale, lunatico. Ha iniziato la sua carriera come batterista dei Jesus and Mary Chain in “Psycho Candy”, per poi mettersi in proprio e sfornare una decina di dischi che comprendono due capolavori del rock elettronico (“Screamadelica” ed “XTRMNTR”) e un capolavoro rock a tutto tondo (“More light”). Gli altri, i dischi “di mezzo”, sono spesso controversi: si vedano gli episodi rock-blues, spesso crocefissi dalla critica e persino da parte dei fan.
In questo contesto, “Beautiful Future” può essere definito un disco misto: il lavoro di vent’anni di carriera è stato scremato, distillato e proposto in un unico album, spaziando dal soul-funk di “Zombie man”, all’electro di “I love to hurt (you love to be hurt)” e “Suicide bomb”, alla ballatona “Over and over”, al pop danzereccio di “The glory of love” e della title track.
La coesione è garantita dalle melodie di Gillespie e
del chitarrista Andrew Innes, riconoscibilmente cariche di furia punk-rock anche quando si dedicano al rock radiofonico, o alle cavalcate ‘60s come in “Beautiful summer”; sono queste melodie a rendere “Beautiful Future” piacevole e sorprendentemente facile da fruire.
Il rovescio della medaglia è che “Beautiful Future” può apparire un album inconsistente: a canzone orecchiabile segue canzone orecchiabile, tutte disposte in maniera intelligente per esaltarne i sapori individuali, tutte arrangiate in maniera impeccabile.
La formula è la stessa di “Screamadelica”,
ma scevra di qualsiasi sperimentazione o ambizione futurista (non c’è nessuna “Higher than the sun”, qui), mentre manca la sensazione di sfida che accompagnava l’ascolto di quei monoliti di “XTRMNTR” e “More light”.
Quindi ricapitolando, “Beautiful future” è un disco gradevole, divertente, ben prodotto, che ha l’imperdonabile difetto di non essere un capolavoro del rock. Se questo, secondo voi, lo rende inferiore a molti altri dischi di rock del 21esimo secolo, allora, per favore, non ascoltatelo.
- Spartaco Ughi
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