sabato 7 luglio 2018

Iced Earth: "Something wicked this way comes" (1998)


Fu in quel di luglio, nell’ormai lontano 1998, che gli Iced Earth pubblicarono la loro opera più acclamata, "Something Wicked This Way Comes". 


Nati e cresciuti nell’afosa Tampa, località nota perlopiù per essere stata la sede della florente scena death metal old school floridiana, il gruppo ha sempre ruotato attorno al leader, il chitarrista Jon Schaffer, attorno a cui nel corso degli anni si sono avvicendati oltre trenta musicisti, di livello compreso fra dignitoso turnista e superstar dalla fama già consolidata. Spesso gli Iced Earth vengono erroneamente classificati come power metal, scelta a nostro avviso sbagliatissima, il gruppo è in realtà fautore di un massicio heavy metal moderno e personale, riflessivo, infervorato e drammatico, debitore solo in parte del new wave of british heavy metal e assai lontano dal tamarro epic heavy ottantiano, certamente ostico da digerire da parte di chi predilige una forma di metal diretta e spensierata. Molto più vicino all’heavy di gruppi (sottovalutati e misconosciuti) come Metal Church e Vicious Rumors, influenzato nettamente più dal thrash evocativo dei Metallica pre black album sia dal thrash della Bay Area per la durezza dei riffing e l’intensità della sezione ritmica piuttosto che dalla componente power metal, presente solamente in diverse sfumature qua e là.

Dopo aver pubblicato due discreti lavori nel ’90 e nel ’92, arriva la svolta con l’ingaggio da parte di Schaffer di Matt Barlow, cantante strepitoso, sconosciuto all’epoca, dotato sia di un timbro possente e di un’invidiabile estensione vocale, ma soprattutto di un temperamento grintoso e capacità espressive fuori dal comune, perfette per integrarsi con l’imprinting teatrale che il gruppo dona alle proprie composizioni.

Dopo aver esordito con Barlow con il buon "Burnt Offerings" arriva il turno di "The Dark Saga", disco di gran successo ispirato al fumetto "Spawn", che proietta il gruppo fra le realtà metal più interessanti di quel periodo. Con "Something Wicked This Way Comes", il loro capolavoro, arriva la definitva consacrazione, con la nuova versione degli Iced Earth.

A livello di lineup infatti li troviamo per la prima volta con una formazione rimaneggiata a soli tre elementi, oltre a Schaffer e Barlow troviamo ancora il bassista James McDonaugh, già presente in The Dark Saga, alla batteria il turnista Mark Prator sostituisce il defezionario Brent Smedley, come spalla di Schaffer è invece presente un altro turnista, Larry Tarnowski.

Fin dalla buona opener "Burning Times", canzone ispirata all’inquisizione spagnola, troviamo un sound ulteriormente indurito rispetto al passato, il pezzo è un trascinante e accattivante mid tempo guidato da rocciosi riff e un’energica performance di Barlow, impegnato a intornare con tutta la vitalità in suo possesso un refrain anthemico. Anche l’aspetto più amaro e emozionale dell’evoluzione stilistica del gruppo lo troviamo maggiormente enfatizzato, questo grazie alla straziante power ballad "Melancholy (Holy Martyr)", ispirata alla passione di Cristo, interpretata magistralmente da un Barlow memorabile, e a un’altra sofferta ballad, "Watching Over Me", composta da Schaffer in memoria di un suo amico morto in un incidente (che gli suggerì il monicker con cui conosciamo il gruppo) qui autore anche del più bell’assolo del disco e forse anche della sua intera carriera, che contribuisce ad aggiungere maggior pathos a un pezzo di per sé già molto toccante.

Pregevoli ma non altrettanto memorabili sono "Consequences" e "Blessed Are You", gli altri lentoni presenti sul disco, che fanno quasi la figura del terzo incomodo al cospetto di due capolavori come "Melancholy" e "Watching Over Me".

Gli episodi più aggressivi e tendenzialmente trash vengono assaporati nelle varie "My Own Savior", potente e disperata, che rievoca ritmiche alla "Ride the Lightning" e "Master of Puppets", la cazzutissima "Disciples of the Lie" (quasi un tributo ai Testament) e la non meno pesante "Stand Alone" (e qui sono Anthrax e Exodos a fare capolino, anche negli accaniti cori ripetuti). Plauso va anche alla valida strumentale "1776", dove assaporiamo un po’ di metal classico maideniano.

L’album viene chiuso da un trittico di pezzi, i quali, più che appartenenti a un concept, rappresentano un filo conduttore che il gruppo adotterà anche negli anni venturi, una sorta di loro reinterpretazione della Bibbia e della storia mistica della creazione, adottando pure una propria mascotte con le fattezze di Set Abominae, una delle figure principali che veste i panni di una sorta di Anticristo.

Dei tre atti conclusivi, a spiccare è la finale "The Coming Curse", una poderosa galoppata di quasi dieci minuti introdotta dalle note di un piano, una delle massime espressioni compositive degli Iced Earth, trascinante e accattivante e che conferma l’abilità del gruppo nel saper abbinare alle solide partiture ritmiche anche una sovra costruzione di linee vocali convincenti che sfociano in lunghi refrain fottutamente ammalianti.

Come detto, "Something Wicked This Way Comes" fu il lavoro della definitiva consacrazione e permise al gruppo di prendere parte ai più importanti eventi in Europa, continente nel quale vennero maggiormente osannati, grazie anche a lunghe ed eccellenti performance live, come testimonia il relativo tour del disco da cui fu registrato il mitico album dal vivo "Live in Athens", uno dei più riusciti testamenti on stage della storia dell’heavy metal, diciamo una specie di loro personale "Made in Japan", dove i pezzi risultano proposti pure meglio che nelle versioni in studio.

Nonostante, in seguito all’abbandono (e deludente e fugace rientro) di Matt Barlow non molti anni dopo, si siano avvicendati dei cantanti di ottimo livello come Tim “Ripper” Owens e Stu Block, l’incarnazione degli Iced Earth di quel periodo rimane la nostra (e assolutamente non soltanto nostra) preferita, per cui facciamo partire l’operazione nostalgia e andiamo a rispolverare questo immortale lavoro che rappresenta quanto di meglio il gruppo ha potuto produrre.

In un periodo in cui l’heavy metal era in declino di ispirazione e idee, gli Iced Earth (assieme ai connazionali Nevermore e Symphony X) ne hanno risollevando le sorti reinventandolo, modernizzandolo e creando uno stile unico.

- Supergiovane

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