sabato 30 giugno 2018

System of a Down: "System of a Down" (1998)

Avete mai notato come ogni tanto capiti di far passare per il proprio stereo un cd lasciato riposto per anni a prendere polvere, spararlo nel lettore con le casse a palla, ed esclamare “cazzo, questo suonerebbe come fresco, originale e innovativo pure se uscisse oggi stesso nonostante abbia i suoi anni sul groppone”, poi controlli la data di concepimento e realizzi che di anni ne sono già passati un bel po’. 20 per la precisione. 




Il 30 giugno del 1998 vedeva la luce l’esordio omonimo dei System of a Down. Bizzarri, stravaganti, eccentrici, strampalati, imprevedibili. Eppure sono sempre piaciuti tanto. Lo testimoniano le folle oceaniche che ancora accorrono alle loro esibizioni live nonostante la loro attività creativa sia in fase criostatica da oltre una dozzina d’anni (e a dirla tutta, le loro performance live attuali non siano proprio all’altezza della loro reputazione).

Guidati da Serj Tankian (libanese di etnia armena emigrato a Los Angeles in tenera età) e Daron Malakian (figlio di immigrati persiani, anch’esso di etnia armena), i quali misero in piedi il loro nuovo gruppo una volta naufragato il primo progetto musicale del liceo, unirono le loro forze al bassista (nonché personaggio poliedrico) Shavarsh “Shavo” Odadjian (si, americano di passaporto ma armeno anche lui), già loro amico e compagno di scuola, mentre alla batteria reclutarono tale Ontronik Khachaturian.

Fu con questa formazione che i System of a Down mossero i primi passi, incidendo tre demo e facendo gavetta per tre anni nei locali di Los Angeles, arrivando a salire sul palco anche dei famigerati Whiskey-A-Go-Go (aggiungendo il proprio nome ai Van Halen, Guns’n’roses, Motley Crue e agli altri vip che sono passati attraverso le esibizioni live in questo storico locale per arrivare al successo) e Viper Room (locale noto anche ai cinefili).

Quando la strada è ormai spianata, il batterista Khachaturian si infortuna e viene rimpiazzato, a prendere il suo posto è John Dolmayan, libanese armeno come Tankian. Questo sarà il nucleo che il gruppo manterrà per i venturi vent’anni e passa.

Nel frattempo, le loro esibizioni non sono sfuggite ai timpani e alle pupille di Rick Rubin, che dopo l’ennesimo demo li mette sotto contratto presso la sua American Recordings, e ne diviene il produttore. Ora i tempi sono maturi per far conoscere i System of a Down al di fuori di Los Angeles, facendoli esordire con il primo full lenght che porta il loro nome. E a vent’anni di distanza, possiamo dire che il loro esordio rappresenta uno degli apici di ciò che è riuscito a produrre il metal contaminato. Nonché uno dei prototipi più originali e riusciti.

Il loro crossover alternativo è forgiato attraverso la fusione di riff di scuola thrash (a indirizzo slayerano), ritmiche pendenti verso il crossover e/o hardcore manipolato con metallo pesante (alla Biohazard, per intenderci), estrose e bislacche evoluzioni e peripizie sonore (care a gruppi sui generis, Mr. Bungle, Primus, Melvins, per citarne alcuni) ritornelli e cori d’indole punkettona i quali hanno permesso al gruppo di rendersi molto appetibile per un’ampia fetta di audience, un marasma sonoro condotto dall’istrionico frontman Serj Tankian e la sua vasta gamma di tonalità e soluzioni vocali, scream e growl (supportato a dovere da Malakian non solo nelle backing vocals ma anche in sporadici duetti e alternanze). Per il singer dei SoaD vale lo stesso discorso che si può applicare a Chino Moreno dei Deftones, molti maestri di canto potrebbero aver da ridire sulle loro capacità e doti vocali, ma in fondo, chissenefrega, le carenze vengono totalmente compensate dalla loro tecnica personalizzata, siamo di fronte a cantanti inconfondibili e inimitabili, dotati di un proprio stile fuori da qualsiasi schema e stereotipo.

A livello testuale, il gruppo propende molto verso la scia left right oriented di contestazione dei Rage Against The Machine, criticando duramente le politiche capitaliste e guerrafondaie, integralismo religioso, il consumismo e la violenza nella società americana, il degrado sociale delle periferie (siamo nella città degli angeli del resto…).

A lanciare il disco provvedette "Sugar", pezzo accattivante e trascinante ad alta concentrazione di groove, con un testo farsesco e allucinato che Tankian interpreta a dovere modulando e cambiando il proprio registro un numero esagerato di volte, se volete un esempio pratico di come riesca a dilettarsi nella sua teatrale e cabarettistica verve interpretativa, beh, esempio migliore non esiste.

Ma il grande capolavoro dell’album è rappresentato da "Spiders", unico “lento” del disco, song dal conturbante spleen, Malakian accantona i suoi poderosi riff per dedicarsi ad avvolgenti arpeggi arcani alla Adam Jones, Tankian è impegnato in una performance emotivamente molto intensa. Grandissimo pezzo, che può tranquillamente aspirare a essere il migliore della loro carriera.

Piuttosto anomala per quelli che sono gli standard del gruppo anche "Mind", camaleontica nell’alternare atmosfere conturbanti a detonazioni schizoidi, la più lunga del lotto, oltre sei minuti, un’eternità considerando che la lunghezza media di una composizione dei SoaD si attesta sui due minuti e mezzo / tre, e talvolta siamo pure sotto i centoventi secondi.

In questo omonimo full lenght possiamo trovare anche "War?", altro cavallo di battaglia del quartetto losangelino, una mazzata in pieno viso di scuola hardcore dotata di uno stravagante break e un refrain anthemico di quelli che si fanno ricordare.

Il disco poi, nella sua varietà compositiva delle singole composizioni, in fin dei conti altro non fa che districarsi perlopiù attraverso bordate thrashcore (come il pezzo appena citato) quali la fulminante opener "Suite-Pee", la seguente "Know" (introdotta dai tom di Dolmayan, ottimo il suo contributo), "Darts", "Soil" (tributo al monicker adottato nella prima incarnazione di band messa in piedi da Tankian, Shavo e Malakian) e la roboante e rabbiosa conclusiva "P.L.U.C.K." siglia che sta per "Politically Lying Unholy Cowardly Killers", dedicata al secondo eccidio armeno risalente all’inizio della prima guerra mondiale, ancora oggi negato dal governo turco.

Ma non sono da tralasciare nemmeno "Suggestions", dall’arpeggio iniziale dal sapore etnico, con un Tankian che non si risparmia in quanto a bizzaria nelle sue soluzioni vocali, e non è da meno nemmeno nella goliardica "DDevil" e nella stravaganza circense di "Peephole", facendo compiere alla sua ugola pirotecniche e funamboliche piroette e volteggi.

Questo è quanto, ascoltare per assimilare questo viaggio nel grottesco tunnel dei System of a Down, ringraziandoli per questo trip uditivo. E non manchiamo di ringraziare anche la Rose & Alex Pilibos Armenian School, senza la quale non sarebbe mai potuto avvenire l’incontro fra questi quattro pazzoidi.

- Supergiovane

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