mercoledì 20 giugno 2018

Style Council: "Confessions of a Pop Group" (1988)

Il 20 giugno di trent'anni fa usciva anche "Confessions of a Pop Group", quarto album degli Style Council di Paul Weller. Considerato da Weller uno dei suoi migliori lavori di sempre, sconcertò i critici e il pubblico, distruggendo la fortuna commerciale della band.



Paul Weller è un fottuto genio. Ok, non è perfetto, non è neanche un genio nel senso di Mozart, ma è un cazzo di genio. E sa di non essere un genio nel senso di Mozart, sa di non essere perfetto. E sa che non è autosufficiente: in questo ricorda quell'altro Paul, quell'altro genio di Paul McCartney, che pure è più autosufficiente e forse più genio di lui ma aveva la stessa brillantezza nel sapere che non poteva fare tutto da solo.

E Weller non ha mai fatto da solo, o quasi. Mick Talbot e Dee C. Lee potevano rimanere degli anonimi sessionmen, dei comprimari di lusso; lui li eleva a pari dignità; negli anni degli Style Council impara a conoscerli come uno strumento musicale, e come uno strumento musicale li suona in "Confessions of a Pop Group", uno dei più audaci e brillanti statements della sua lunga e gloriosa carriera.

Ricapitoliamo: "The Cost of Loving" (1987) è andato bene ma non benissimo; e la casa discografica vuole rimettere le cose a posto col disco successivo. Ma a Weller onestamente fregacazzi. Perché Weller fa quello che vuole, e lui vuole portare il pop sofisticato degli Style Council a un livello ancora superiore (o, se preferite, diverso).

Così campo libero, anzi liberissimo, a Talbot, al suo piano e alle sue tastiere, alle sue idee e alla sua sensibilità. E campo libero alla Lee, di riempire della sua voce ogni anfratto lasciato sgombro, ogni angolo bianco di una pagina. Come si vede dalla perfetta copertina: tre anime musicali, tre vertici di un triangolo, un solo baricentro.

In mezzo c'è Weller, il suo pop rock britannico; a sinistra abbiamo il soul e il funk della Lee; a destra il pianismo classicista e le atmosfere di Talbot. Il tutto fluisce perfettamente secondo due modalità dominanti: il pop atmosferico, a volte jazzato, a volte orchestrale, a volte neoclassico; e il rhythm'n'blues, talvolta soffuso, talaltra incalzante e funky.

Unico neo: il batterista Steve White, amico e compare fraterno di Weller, si deve essere stufato del funk troppo sintetico, dei suoni artificiali della batteria, della programmazione elettronica, e se ne va dal gruppo. Il suono del drumming è in effetti una delle cose che suona storta nel disco, come poi alcuni suoni di tastiera davvero troppo sintetici, troppo chiaramente relegati in quell'hic et nunc degli anni '80, a dare quella patina che oggi più che retro suona invadente e datata.

White tornerà dopo la pubblicazione di "Confessions of a pop group" (abbiamo già detto che fu un flop? di critica e di pubblico? lo ridiciamo, sennò); poi Weller iniziò la propria carriera solista e White gli continuò a fare da spalla per altri quindici anni (il che è stato sempre un bene).

In ogni caso, "Confessions of a pop group" rimane il testamento degli anni '80 di uno dei maggiori autori pop inglesi di sempre e dei suoi compagni di viaggio. Dee C. Lee gli diede anche due figli, a sugello di una illuminata unione artistica e personale.

Prima di sciogliersi, gli Style Council cercarono di realizzare - e anzi realizzarono - un ultimo disco nel 1989, ma la casa discografica si rifiutò anche solo di pubblicarlo, cosicché vide la luce solo come parte di un box set nel 1998.

Ma questa è un'altra storia.

- Red

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