mercoledì 20 giugno 2018

Sigur Ros: "Með suð í eyrum við spilum endalaust" (2008)

Il 20 giugno di dieci anni fa usciva il quinto album in studio degli islandesi Sigur Rós. "Með suð í eyrum við spilum endalaust" è l'ennesimo capolavoro del gruppo islandese, per quanto scientemente lontano dai temi più eterei che li avevano caratterizzati in precedenza.






Dopo la raccolta di inediti e rarità "Hvarf/Heim" (2007), i Sigur Ros tornano a un disco vero e proprio a tre anni da "Takk...", che forse resterà per sempre il loro capolavoro assoluto. Ma anche con "Með suð í eyrum við spilum endalaust" (che si dovrebbe tradurre "con un ronzio nelle orecchie noi suoniamo senza fine") gli islandesi raggiungono vette di eccellenza rare e straordinarie.

Questa volta i temi più notturni e meditabondi, pur non sparendo, non sono più al centro dell'opera: al centro dell'opera va infatti la gioia, la libertà, come si può dedurre già dalla perfetta copertina che ritrae un gruppetto di giovani nudi che attraversa una strada fra le montagne. Le canzoni manifesto di questa poetica ebbra di vita ed emozione sono "Gobbledigook", posta in apertura, la seguente "Inni mer syngur vitlesingur", con un entusiasmo appena più sobrio e fornita di una coda strappalacrime (di felicità), ma soprattutto "Við spilum endalaust", la canzone più positiva e struggente allo stesso tempo di tutto l'album, con una sezione fiati emozionante, il perfetto basso di Georg Hólm e le paradisiache sovrapposizioni vocali di Jón Þór Birgisson.

I brani sobri più convincenti emergono trasformati per adattarsi alle atmosfere bucoliche ed estive del disco, come nelle canzoni da meriggio quali "Goda daginn" e "Með suð í eyrum" (il cui elemento guida è il piano di Kjartan Sveinsson); vi percepiamo ispirazioni che vanno dal folk britannico e dal post rock dei Talk Talk alle atmosfere quasi new age di Virginia Astley (si veda alla voce "From gardens where we feel secure", 1983).

Le parti che si riallacciano ai dischi precedenti - che sorprenda o meno - non sono invece le tematiche musicali più interessanti (la lunga introduzione di "Festival", per esempio, appare abbastanza tediosa e già sentita, rispetto alla spiazzante, tracimante coda controllata dalla batteria perfetta di Orri Páll Dýrason).

Sempre ottimo d'altra parte il contributo sia della sezione fiati a sette elementi sia delle improvvisazioni di archi realizzate dal quartetto amiina, che abbelliscono con gusto le composizioni del gruppo.

Se volessimo dare un giudizio complessivo, riteniamo di trovarci di fronte a qualcosa che al suo massimo raggiunge le punte più luminose dell'opera dei Sigur Ros, ma con pause più frequenti di quanto non fossimo abituati a sentire.

A ogni modo, se coi vecchi Sigur Ros avevamo vissuto nei brevi autunni, nelle lunghe notti e nei lunghi inverni islandesi, ora siamo nel pieno della breve estate dell'isola, quando tutto è verde e il sole splende fra le nuvole di copertina riscaldando a malapena le terre subartiche.

E quella che i quattro ragazzi islandesi condividono con noi resta una emozione indicibile.

- Prog Fox


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