venerdì 1 giugno 2018

Alan Parsons Project: "Pyramid" (1978)

Quarant'anni fa oggi usciva "Pyramid", terzo album del The Alan Parsons Project, gruppo progressive rock inglese fortemente ispirato dai Pink Floyd (per i quali Parsons lavorò come tecnico del suono).





 Dopo avere trasformato il proprio progetto estemporaneo in una vera e propria band con il secondo album "I, Robot" del 1977, i due leader dell'Alan Parsons Project (Eric Woolfson, tastierista e cantante, Alan Parsons, polistrumentista, produttore e tecnico del suono) giungono al terzo album, "Pyramid", sempre all'insegna delle influenze che "The Dark Side of the Moon" e "Wish you were here" dei Pink Floyd ebbero sul mondo pop e prog di fine anni settanta.

Il gruppo, oltre ai due leader, vede i veterani David Paton al basso, Ian Bairnson alle chitarre, Duncan Mackay alle tastiere e Andrew Powell agli arrangiamenti di coro e orchestra. Stuart Elliott, noto anche come batterista di Kate Bush per oltre trent'anni, sostituisce ai tamburi Stuart Tosh, passato ai 10cc, coi quali rimarrà fino allo scioglimento del 1983. Come negli album precedenti, le voci soliste dei brani sono affidate perlopiù a cantanti esterni, amici dei musicisti e della band, cosa che si possono permettere di fare dato che il Project non suonerà dal vivo fino al 1990.

Concept album e atmosfere tecnologiche e spaziali, suoni pulitissimi e precisi, grandissima professionalità; ma se ci fossero solo queste cose, di loro non varrebbe la pena parlare e di questo disco men che meno. Due sono gli elementi che caratterizzano la band in positivo: il grande talento melodico e la capacità di trovare in ogni brano almeno un motivo di arrangiamento interessante o sorprendente. In particolare nell'album il tema di fondo è la civiltà egizia, che in quel periodo andava abbastanza di moda, essendo protagonista durante l'evoluzione della cultura new age nel mondo britannico e americano. La visione che ne ha l'Alan Parsons Project è comunque ironica, ma ciò non toglie che gli elementi world che si aggiungono al progressive rock e alle melodie pop rendono il disco davvero godibile, anche se il livello dell'ispirato debutto "Tales of Mystery and Imagination" rimane irraggiungibile.

Il disco si apre col dittico "Voyager"-"What goes up": il primo è uno strumentale che mescola progressive e world music su toni estremamente dimessi e ritmi bradicardici, che evolve nella seconda, canzone stupenda in cui il duetto vocale fra Dean Ford e il bassista David Paton si svolge su una ritmica fastidiosamente irregolare. Basterebbero questi sei minuti a dare dignità all'LP, ma non abbiamo certo finito.

Da un lato abbiamo canzoni che si caratterizzano per un tono dimesso e profondamente malinconico, che fa presagire quello che sarà il mutamento della formazione da un prog spaziale e tecnologico di matrice pinkfloydiana a una band di pop rock anni ottanta. Fanno parte di questo genere di brani le bellissime "The eagle will rise again" (caratteristica la prova vocale di Colin Blunstone, ex-Zombies) e la conclusiva "Shadow of a lonely man", forse la migliore del lotto (cantata dall'ottimo John Miles).

Dall'altro, abbiamo l'aggressiva "One more river" (con Lenny Zakatek alla voce), la sarcastica "Can't take it with you" (in cui ancora una volta Dean Ford alla voce interpreta il dio Anubi traghettatore dei morti che si rivolge al defunto dicendogli che 'non puoi portare con te' ricchezze e tesori della vita passata) e uno dei migliori brani del disco, la dissacrante "Pyramania", in cui il falsetto di Jack Harris ironizza sulla moda new wave su uno sfondo musicale dal ritmo parossistico e dal basso prodigioso.

Un ultimo gruppo di brani è costituito da "In the lap of the gods" e "Hyper-gamma-spaces", due strumentali che rappresentano i momenti più 'progressivi', il primo ebbro di contaminazioni etniche mediorientaleggianti e del contributo fondamentale dei cori arrangiati da Powell e diretti da Bob Howes, ispirati ai Carmina Burana ben tre anni prima che John Boorman li usi per "Excalibur" e Basil Poledouris vi si ispiri per "Conan il Barbaro"; il secondo invece di tipologia tecnocratica, tra krautrock e Pink Floyd di "Wish you were here".

Nel complesso, un buon equilibrio fra varietà tematica e uniformità di suono e produzione, con più che discrete melodie e non un momento di noia. Non sarà "The Dark Side of the Moon", ma la professionalità, la gradevolezza e l'intelligenza con cui il disco è stato costruito lo pongono certamente ai percentili superiori dell'opera di questo gruppo minore del tardo prog britannico.

- Prog Fox



Nessun commento:

Posta un commento

ARTISTI IN ORDINE ALFABETICO:   #  --  A  --  B  --  C  --  D  --  E  --  F  --  G  --  H  --  I  --  J  --  K  --  L  --  M  --  N  --  ...