Quarant'anni fa oggi usciva "Pyramid", terzo album del The Alan Parsons Project, gruppo progressive rock inglese fortemente ispirato dai Pink Floyd (per i quali Parsons lavorò come tecnico del suono).
Dopo
avere trasformato il proprio progetto estemporaneo in una vera e
propria band con il secondo album "I, Robot" del 1977, i due leader
dell'Alan Parsons Project (Eric Woolfson, tastierista e cantante, Alan
Parsons, polistrumentista, produttore e tecnico del suono) giungono al
terzo album, "Pyramid", sempre all'insegna delle
influenze che "The Dark Side of the Moon" e "Wish you were here" dei
Pink Floyd ebbero sul mondo pop e prog di fine anni settanta.
Il gruppo, oltre ai due leader, vede i veterani David Paton al basso,
Ian Bairnson alle chitarre, Duncan Mackay alle tastiere e Andrew Powell
agli arrangiamenti di coro e orchestra. Stuart Elliott, noto anche come
batterista di Kate Bush per oltre trent'anni, sostituisce ai tamburi
Stuart Tosh, passato ai 10cc, coi quali rimarrà fino allo scioglimento
del 1983. Come negli album precedenti, le voci soliste dei brani sono
affidate perlopiù a cantanti esterni, amici dei musicisti e della band,
cosa che si possono permettere di fare dato che il Project non suonerà
dal vivo fino al 1990.
Concept album e atmosfere tecnologiche e
spaziali, suoni pulitissimi e precisi, grandissima professionalità; ma
se ci fossero solo queste cose, di loro non varrebbe la pena parlare e
di questo disco men che meno. Due sono gli elementi che caratterizzano
la band in positivo: il grande talento melodico e la capacità di trovare
in ogni brano almeno un motivo di arrangiamento interessante o
sorprendente. In particolare nell'album il tema di fondo è la civiltà
egizia, che in quel periodo andava abbastanza di moda, essendo
protagonista durante l'evoluzione della cultura new age nel mondo
britannico e americano. La visione che ne ha l'Alan Parsons Project è
comunque ironica, ma ciò non toglie che gli elementi world che si
aggiungono al progressive rock e alle melodie pop rendono il disco
davvero godibile, anche se il livello dell'ispirato debutto "Tales of
Mystery and Imagination" rimane irraggiungibile.
Il disco si
apre col dittico "Voyager"-"What goes up": il primo è uno strumentale
che mescola progressive e world music su toni estremamente dimessi e
ritmi bradicardici, che evolve nella seconda, canzone stupenda in cui il
duetto vocale fra Dean Ford e il bassista David Paton si svolge su una
ritmica fastidiosamente irregolare. Basterebbero questi sei minuti a
dare dignità all'LP, ma non abbiamo certo finito.
Da un lato
abbiamo canzoni che si caratterizzano per un tono dimesso e
profondamente malinconico, che fa presagire quello che sarà il mutamento
della formazione da un prog spaziale e tecnologico di matrice
pinkfloydiana a una band di pop rock anni ottanta. Fanno parte di questo
genere di brani le bellissime "The eagle will rise again"
(caratteristica la prova vocale di Colin Blunstone, ex-Zombies) e la
conclusiva "Shadow of a lonely man", forse la migliore del lotto
(cantata dall'ottimo John Miles).
Dall'altro, abbiamo
l'aggressiva "One more river" (con Lenny Zakatek alla voce), la
sarcastica "Can't take it with you" (in cui ancora una volta Dean Ford
alla voce interpreta il dio Anubi traghettatore dei morti che si rivolge
al defunto dicendogli che 'non puoi portare con te' ricchezze e tesori
della vita passata) e uno dei migliori brani del disco, la dissacrante
"Pyramania", in cui il falsetto di Jack Harris ironizza sulla moda new
wave su uno sfondo musicale dal ritmo parossistico e dal basso
prodigioso.
Un ultimo gruppo di brani è costituito da "In the
lap of the gods" e "Hyper-gamma-spaces", due strumentali che
rappresentano i momenti più 'progressivi', il primo ebbro di
contaminazioni etniche mediorientaleggianti e del contributo
fondamentale dei cori arrangiati da Powell e diretti da Bob Howes,
ispirati ai Carmina Burana ben tre anni prima che John Boorman li usi
per "Excalibur" e Basil Poledouris vi si ispiri per "Conan il Barbaro";
il secondo invece di tipologia tecnocratica, tra krautrock e Pink Floyd
di "Wish you were here".
Nel complesso, un buon equilibrio fra
varietà tematica e uniformità di suono e produzione, con più che
discrete melodie e non un momento di noia. Non sarà "The Dark Side of
the Moon", ma la professionalità, la gradevolezza e l'intelligenza con
cui il disco è stato costruito lo pongono certamente ai percentili
superiori dell'opera di questo gruppo minore del tardo prog britannico.
- Prog Fox
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
ARTISTI IN ORDINE ALFABETICO: # -- A -- B -- C -- D -- E -- F -- G -- H -- I -- J -- K -- L -- M -- N -- ...
-
Nell'ottobre di quarant'anni fa viene pubblicato "Robinson - come salvarsi la vita", nono album del cantautore milanese ...
-
Il 23 gennaio del 1967 esce "Jacques Brel 67", il nono album del cantautore belga Jacques Brel. Brel entra nello studio Barclay di...
Nessun commento:
Posta un commento