sabato 26 maggio 2018
Mayfield Four: "Fallout" (1998)
Il 26 maggio di venti anni fa esce "Fallout", primo lavoro dei Mayfield Four, primo gruppo di Myles Kennedy, futuro cantante degli Alter Bridge e di numerosi progetti musicali, tra cui la band solista di Slash. "Fallout" è una gemma misconosciuta del rock di fine anni '90, e merita di essere riportato alla luce dall'oblio in cui è finito.
Myles Kennedy.
Ogni buon rockettaro che si tiene al passo con i tempi associa questo nome al frontman degli Alter Bridge, oltre a conoscerlo per essere anche l’attuale cantante di Slash e aver collaborato con Jimmy Page, John Paul Jones e Jason Bonham. Ha inoltre pubblicato da poco il suo esordio da solista, "Year of the Tiger". Un curriculum di tutto rispetto, conseguito dopo una lunga gavetta.
Oggi andiamo indietro nel tempo di 20 anni, esattamente al 26 maggio del 1998, data in cui uscì "Fallout" dei Mayfield Four, primo lavoro del primo gruppo di Kennedy. La sua ascesa comincia da qui.
Riguardo il suo personaggio, ne abbiamo già parlato quando si è parlato degli Alter Bridge. Timbro vocale vellutato e raffinato, quattro ottave di estensione vocali, superlative doti interpretative, personaggio mai sopra le righe, lontano da eccessi e comportamenti deprecabili. In assoluto uno dei migliori cantanti rock attuali e aspirante vincitore del titolo di rockstar più noiosa della storia. Originario della periferia di campagnia di Spokane, nello stato di Washington, Kennedy mette in piedi i Mayfield Four nel ’96, unendo i propri sforzi a quelli di un gruppo di amici del quartiere accomunati dalla passione per la musica (eh si, sempre la solita vecchia scontata storia…): come spalla alla seconda chitarra Craig Johnson (morto lo scorso settembre in seguito a uno scontro a fuoco con un poliziotto locale), al basso Marty Meisner e infine il valido batterista Zia Uddin, tutt’ora musicista professionista (riunitosi con Kennedy di recente per la registrazione di "Year of the Tiger").
In realtà, la fortuna sembra sorridere al gruppo, basta un demo inviato alla Epic Records per strappare subito un contratto discografico. Nel giro di un anno il gruppo si trovò a passare da band locale a trovarsi sotto contratto con una major. Abbiamo già tessuto lodi alle grandiose doti individuali di Kennedy, ebbene, le medesime caratteristiche il singer le presentava già fin dagli esordi, non è difficile immaginare che gli scout della Epic abbiano facilmente intravisto quelle potenzialità che da lì a poco si consolidarono come preziose certezze.
Ma non immaginiamo Kennedy, le linee vocali da lui calcate e i Mayfield Four come un semplice gruppo prototipo degli Alter Bridge: i gusti musicali di Kennedy hanno sempre spaziato dal rock anni ’70 di matrice zeppeliniana al soul di Marvin Gaye e Stevie Wonder, dal blues acustico di Robert Johnson al jazz di Miles Davis, dallo sleaze e street rock ottantiano fino al grunge. In "Fallout", tutte queste influenze collidono e si fondono tra loro, generando una miscela di rock moderno autoriale e onirico, più o meno a metà strada fra Jeff Buckley (la più grande fonte di ispirazione del singer insieme a Chris Cornell) e i Pearl Jam, dotato di molteplici sfumature.
Dodici pezzi, quasi un’ora di grandissima musica, fanno di "Fallout" un album meraviglioso, senza filler, cedimenti, e canzoni fuori posto. Purtroppo, nonostante il gruppo fu subito reclutato per supportare in tour i Creed, lo scarso appeal radiofonico non giocò a favore del gruppo, la promozione fu praticamente nulla e le vendite scarse, ma del resto anche "Grace" inizialmente registrò vendite scarse. La dura legge del music business. O muori da eroe, o vivi tanto a lungo da sperare che prima o poi qualcuno si accorga di te. Un vero peccato, soprattutto perché del disco non fu mai stampata una seconda tiratura e risulta fuori catalogo da almeno una quindicina di anni, le poche copie disponibili si possono reperire soltanto nel mercato dell’usato.
Okay, va bene, non badiamo all’aspetto commerciale, ma lasciamo che siano le canzoni a dire la loro. Melodie paradisiache, distorsioni armoniose, linee vocali da favola, sfumature progressive. Meglio lasciarsi andare all’ascolto di piccoli gioiellini come "Shuddershell", "Forfeit", "Don’t Walk Away", "12/31" e la superba "Big Verb" (il pezzo preferito da parte del recensore), senza tralasciare i pezzi più diretti come "Always", solare e affabile, non a caso scelta come primo singolo, oppure i pezzi più tirati come "Realign" e la splendida "Suckerpunch", che potrebbe benissimo essere la sorellina di una "State of Love and Trust" o "Rearviewmirror" di proprietà intellettuale di Vedder & co.
In chiusura viene omaggiata "Inner City Blues" di Marvin Gaye, degnamente coverizzata e rielaborata. Un esordio grandioso e un album perfetto, o quasi, uno dei lavori rock più misconosciuti degli anni novanta, trainato da una performance vocale a dir poco prodigiosa.
- Supergiovane
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