lunedì 28 maggio 2018

Creedence Clearwater Revival: "Creedence Clearwater Revival" (1968)


Il 28 maggio del 1968 esce il disco omonimo dei Creedence Clearwater Revival, loro debutto su long playing e primo capolavoro di uno dei gruppi più importanti dell'America di quegli anni, protagonisti di uno dei più grandi atti di amore per il rock'n'roll e il country che del rock furono le radici.




Dovendo identificare l’epicentro dell’onda lunga del rock, il movimento musicale che più di tutti ha caratterizzato la seconda metà del ventesimo secolo, bisognerebbe certamente puntare il dito verso la California. Lì operarono gli artisti bianchi che, attorno agli anni ’60, definirono il nuovo genere (il rock) rielaborando il blues delle comunità nere, che già a quel punto era stato in parte assimilato nelle performance di altri artisti bianchi con il nome di rock’n’roll (che è un genere imparentato ma radicalmente diverso dal rock). Il rock nacque come versione via via più sofisticata e sperimentale del rock’n’roll, sulla spinta di artisti come i Beach Boys e i loro corrispettivi d’oltreoceano, i Beatles. Sul finire degli anni ’60, la california è anche la patria del movimento hippie e di tutte le band ad esso legate, in primis gli psichedelicissimi Jefferson Airplane e Greateful Dead. La rivoluzione sonora va di pari passo con l’intenzione di cambiare la società fin dalle fondamenta.

In questo contesto, una band che contiene la parola “Revival” nel proprio nome potrebbe apparire stonata. Al loro esordio, i CCR fanno del recupero dei brani “classici” di alfieri rock-blues come Jay Hawkins una colonna portante della propria produzione. La reinterpretazione di questi in una chiave moderna, di fatto derivante dall’onda psichedelica montante in quel periodo, è però il contrario di un’operazione nostalgica, anzi anticipa la tendenza delle band del periodo di reinterpretare vecchi brani in maniera moderna, producendo dal nulla dei generi completamente nuovi (con materiali di partenza non troppo diversi, i Led Zeppelin fabbricheranno l’hard rock, Hendrix il guitar sound moderno, Bowie e Bolan il glam).

La peculiarità del quintetto è l’essenzialità e la compostezza con cui esso si approccia alla musica: le partiture dei CCR sono prive di particolari eccessi, e la loro esaltante intensità non ha bisogno di altro che della voce sublime, graffiante e struggente di John Fogerty per raggiungere vette emotive con pochi eguali. Tutto il resto, dall’incalzante sezione ritmica alle ottime chitarre di Fogerty e di suo fratello Tom, è congegnato in modo tale da trasmettere la massima emozione col minimo sforzo (e rumore).

L’apparente semplicità della musica dei CCR (in quest’album e nei seguenti) li pone al crocevia tra tutti i sotto-generi che prolifereranno dai ’70 in avanti. Basta ascoltare le cavalcate elettriche di queste cover di “Susie Q” e “I put a spell on you”, o i chiaroscuri di “Gloomy” e “Walk on the water”, per convincersene; un orecchio appena più allenato potrebbe dilettarsi nel cercare i piccoli dettagli che anticipano le chitarre prog.

Difficile non perdere la testa per i Creedence; custodi della ricca tradizione musicale americana, da un lato, e cartografi del genere dominante nei decenni seguenti alla loro carriera, dall’altro.

- Spartaco Ughi

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